lunedì 24 agosto 2015

Contenzione del cane "problematico"

Una delle più grandi soddisfazioni che personalmente nel mestiere del veterinario, è ogniqualvolta riesco a fare un'anestesia ad un cane dal temperamento difficile.
Vi è sempre in gioco un enorme responsabilità. Nei confronti dell'animale, dei proprietari, e di sè stessi. Perchè il rischio di gravi incidenti per tutti e tre questi protagonisti è davvero alto anche per un solo minimo dettaglio trascurato nelle manovre.


In dieci anni di attività e cinque di conduzione ambulatoriale in proprio, un paio di volte me la sono vista davvero brutta. In una di queste a momenti non mi faccio sbranare da un pastore belga in procinto di essere visitato nel suo giardino. Parve non gradire che dopo la terza-quarta volta che mi riportava la pallina per giocare, non gliel'avessi rilanciata ancora, mettendomi a sistemare lo strumentario per la visita. Mollò la pallina dalla bocca e mi azzannò dapprima il marsupio che portavo dietro una spalla, lacerandolo, e quindi tentò un morso su una natica (che prese di striscio non riuscendo a fare presa grazie alla tuta scivolosa).

In quei frangenti alzai le braccia al cielo, tese, e rimasi immobile. Fissando il cielo. Mi sentivo un proto-cristiano in procinto di essere sbranato dalle fiere nell'arena del Colosseo. Con la coda dell'occhio dopo qualche secondo osservai il presunto carnefice. Lo vidi scodinzolare. Un buon motivo per tornare a deglutire. Ma mi fissava a bocca aperta un braccio, con l'aria "adesso appena lo abbassa gli azzanno quello! vediamo se gli torna la voglia di riprendermi la pallina!". 
Praticamente mi stava risparmiando... perchè aveva da esprimere un ultimo desiderio (lui!). Per fortuna intervenne il proprietario dopo una decina di secondi (mi parvero ore!) con la scopa. Lui azzannò quella...e non proprio per gioco come prima.
Bene. Quello fu l'indizio che mi fece capire che nell'educazione di quel cane qualcosa era stata impostato sbagliato. Tralascio il resto. Questo era solo un esempio per dire che con gli animali, credo tutti (dal bruco, all'essere umano) non esistono maniere buone o cattive che funzionano. Ma un buono o cattivo uso di buone e cattive maniere. Servono entrambe. E lo si può facilmente dimostrare. Ma occorre sapienza (intelligenza emotiva?) nel saperle usare come, quando e quanto serve. Usare le cattive maniere nel momento sbagliato fa danni quanto usare le buone se il caso non lo prevede. Esistono quindi le maniere giuste e quelle sbagliate. E capire quali siano le une e le altre, è solo ed esclusivamente questione di buon senso. A prescindere da lauree, trattati e manuali.

Usare le cattive nella pratica veterinaria non significa maltrattarli, ma adottare strategie per neutralizzare le loro reazioni indesiderate, inducendo per forza di cose qualche stress ma senza traumatizzarli. Cosa questa davvero delicata. Perchè "la psiche" di un animale è fragile quanto quella di un bimbo nella prima infanzia (non si parla di evoluzione, ma di fragilità).

Non è mai scontato riuscirci con successo. Ma si può sempre ad ogni modo tentare di farlo. Occorre inevitabilmente la collaborazione del proprietario, senza la quale a mio avviso ogni tentativo è da lasciar perdere.
Ecco alcune strategie che ho adottato negli anni per i casi più critici. Non sono una garanzia per tutti, ovviamente, ma se non altro possono essere un punto di riferimento per non arrendersi in partenza.













martedì 14 luglio 2015

Quote latte, un gioco di prestigio non a caso durato 30 anni

L'annosa tematica delle quote latte nel mondo zootecnico ha avuto ovviamente le sue ripercussioni anche in ambito veterinario. Ma non sono i risvolti professionali che mi interessa trattare nel mio blog. Bensì quelli socioeconomici. Perchè quello delle quote latte è un perfetto esempio, a mio personale parere, di quel meccanismo finanziario perverso che ha distrutto e sta distruggendo il mondo del lavoro. Meccanismo che se non verrà interrotto quanto prima, la sorte toccata ai settori primari toccherà anche a quello dei settori terziari, libere professioni intellettuali comprese (già in un saggio del 2012 ne ho già data ampia dimostrazione alla mia stessa categoria professionale).
Vediamo cosa, come e perchè.

Le quote latte furono introdotte dall'allora Comunità Europea nel 1984. Politicamente una "trovata geniale" il cui intento era in soldoni non far produrre ai Paesi più latte di quello consumato/esportato al fine di non svalutare troppo il prezzo del latte. Cosa geniale in origine, almeno sulla carta, ma che merita l'appellativo di "trovata" valutando i fatti col senno di poi oggi che sono state abolite (aprile 2015).
L'originario regolamento delle quote fu modificato nei decenni successivi in due occasioni: 1992 e 2003. In questo ultimo frangente mi trovavo a metà percorso universitario e lo dico onestamente, da studente valutando la somma della legislazione europea, della loro applicazione italiana, delle analisi dei professori universitari, e degli allevatori che si cominciava ad incrociare qua e là, l'unica idea che mi feci in merito era di un sistema Europa schizofrenico.
In particolare mi lasciò perplesso l'interpretazione di un docente, confermata da qualche lettura di testo non ricordo più dove. Ossia l'evidenza che dalle normative europee nel loro complesso in ambito di politiche agricole  emergesse l'intento di trasformare lentamente gli Stati del Nord Europa in produttori zootecnici, e gli Stati del Sud-Europa in produttori agricoli. In pratica al sud si doveva coltivare intensivamente l'alimento per l'allevamento intensivo del nord. Insomma qualcosa che appariva immediatamente insensato a uno spirito critico vergine di politica zootecnica come il mio, che si rifiutava a prescindere di considerare l'allevamento degli animali come un settore a "vocazione multinazionale".
Ero evidentemente un ingenuo. E lo conferma il fatto che oltre che insensato quella politica mi appariva schizofrenicamente contraddittoria a valutare tutta l'altra politica parallela sull'agricoltura e zootecnia "biologica" che stava esplodendo in quegli stessi anni.

Cosa voleva l'Europa? In quale direzione voleva andare? Ebbene solo oggi è chiaro che voleva evidentemente, fin dal 1984, andare in una direzione precisa: annientare un universo costellato (via lattea?) di piccoli produttori di latte come quello italiano per creare lentamente un circuito di pochi grossi produttori di latte. E per la maggior parte non italiano.
Dagli anni 90 in poi credo di sbagliare di poco affermando che in Italia, ad oggi, hanno chiuso centinaia di migliaia di aziende di bovine da latte a conduzione famigliare. Il numero di bovine però non è diminuito o aumentato in modo proporzionale alla chiusura di aziende, essendo aumentata di molto la produzione per capo. Questo significa che hanno chiuso aziende, ma quelle che son rimaste aperte si sono ingrandite sempre di più. Trasformandosi in fabbriche di produzione di latte.
Non è questa ora la sede per entrare in aspetti etico-sociali inerenti il benessere animale (animali-veterinari e animali-allevatori compresi). Ora qui, ripeto, voglio soffermarmi solo sull'aspetto etico-economico della questione.
Volevo infatti far riflettere su una dinamica durata 30 anni. E non a caso 30 anni. Dinamica che ha distrutto quel settore straordinario, perfettamente integrato nel tessuto sociale fin dalla notte dei tempi, del piccolo produttore di latte. Latte che è un alimento altamente deperibile e che per essere consumato fresco nelle sue nobilissime qualità nutrizionali deve essere prodotto dietro casa... non di certo a migliaia di chilometri di distanza per essere consumato in polvere.
Ma leggiamo cosa accadde in quel lontano 1984:


All'Italia fu imposto di produrre una quantità di latte di gran lunga più bassa rispetto al suo trend produttivo. Questo significava in un colpo solo impedire agli allevatori di ricavare profitto dal proprio lavoro (pur dovendo coprirne le spese!) e in aggiunta pagare una "penale" (o tributo che dir si voglia). Questo significava sul breve periodo indebitare un'intera categoria produttiva, e sul lungo periodo costringerla a chiudere battenti.
"Un'errore ISTAT" si giustificò l'allora Ministro dell'Agricoltura. A valutare la lunga tradizione di patetismi della politica italiana, nulla di cui scandalizzarsi. Ma col senno di poi quell'errore appare, a mio avviso, un vero e proprio gioco di prestigio mirato a creare condizioni di concorrenza sleale tra Paesi membri dell'Unione.
Nei fatti le quote latte hanno penalizzato la produzione di latte di certi Paesi come l'Italia, costringendoli ad una involuzione che ha tagliato fuori innanzitutto le esportazioni. Paesi a vocazione agro-zootecnica (in poche parole i Paesi dell'Est) prima abituati magari ad importare latte, si sono trovati nelle condizioni quindi di sviluppare e potenziare la produzione interna.
Guarda caso però in questi stessi Paesi negli ultimi decenni sono confluiti quasi tutti gli investimenti finanziari privati degli imprenditori europei (Italia compresa). Che fatalità che la produzione di latte sia aumentata negli ultimi decenni in Ungheria, Repubblica ceca, Slovenia, Estonia, Lettonia, Lituania... (oltre che in Francia e Germania). Fatalità, o errori ISTAT dei loro ministeri dell'agricoltura?
Ebbene sono occorsi poco più di tre decenni per modernizzare in modo competitivo la produzione di latte nei Paesi europei emergenti con capitali di qualche lobby finanziaria (aziende famigliari...o soccide a conduzione famigliare? ). Nel momento poi che la loro produzione si è fatta competitiva nei mercati, allora è convenuto togliere le quote latte: nei supermercati in Veneto oggi un litro di latte pastorizzato italiano costa 1,10€ in media, un litro di latte pastorizzato sloveno costa 0,70€.



http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2015/03/30/news/finisce_l_era_delle_quote_latte-110341986/


Questa è la fine della fiera. In tanti sensi. Tuttavia, giusto per rimanere fedeli alla lunga tradizione italiana di patetismi politici con i suoi risvolti sociali sadomasochisti, a far notizia non è mai la classe dirigente curatrice-fallimentare, ma i cittadini lavoratori italiani sempre in gara tra loro a far emergere chi si è sottomesso più egregiamente dell'altro al proprio padrone. Cittadini lavoratori auto-cornuti e auto-mazziati (i governi che li hanno logorati se li sono votati e rivotati loro). Cittadini lavoratori indebitati da una politica tutt'altro che incompetente nell'eseguire gli ordini di chi comanda il mondo: le lobby finanziarie del credito-debito.



mercoledì 24 giugno 2015

L'anestesia migliore è quella che...


Ora parlerò di un protocollo anestesiologico di media-lunga durata (1-3 ore) usato da decenni in medicina veterinaria, ma sempre meno promosso dalle élite accademico-professionali.

Questo protocollo infatti, seppur molto pratico clinicamente e conveniente economicamente, impone una certa esperienza e costante attenzione nella sua applicazione a causa della notevole flessibilità posologica e di qualche aspetto gestionale.
Il protocollo in questione è un'iniezione unica intramuscolare (IUIM) e prevede l'associazione di tre molecole narcotico-anestetiche (tiletamina, zolazepam, xilazina) talora associate anche ad atropina. Antidolorifici/antibiotici associati in chirurgia non sono presi in considerazione perchè non compresi nell'effetto anestetico.
L'effetto combinato delle tre molecole prevede la possibilità di quasi dimezzare le dosi attive di due di esse (tiletamina e zolazepam) così da rendere l'anestesia molto sicura dal punto di vista tossicologico e minimizzare gli effetti negativi della terza (alfa-2 agonista).

Poichè però le dosi di riferimento hanno un range molto elevato per le prime due sostanze (dose minima/massima utilizzabili a seconda della durata e profondità di sedazione-anestesia) il professionista si trova obiettivamente in difficoltà ad usarle.
Se però si valuta la bibliografia nel modo più ampio e si osservano sul campo gli effetti riscontrati, non è difficile ricavarsi un dosaggio ottimale per interventi anche a breve-medio termine come può essere una comune sterilizzazione/castrazione.
Nella mia esperienza tale dosaggio risulta essere:

GATTO

tiletamina 3,5 mg/kg
zolazepam 3,5 mg/kg
xylazina 1,4 mg/kg







CANE

tiletamina* 6,5 mg/kg
zolazepam* 6,5 mg/kg
xylazina 1 mg/kg 

*nei soggetti in sovrappeso può essere necessario aggiustare con +5-10% della dose da iniettare EV dopo l'induzione per un ottimale mantenimento







A questi dosaggi sono giunto dopo aver fatto esperienza per circa un paio d'anni con altri usati nelle cliniche e ambulatori dove prestai collaborazione in fase di tirocinio o appena laureato. Era allora opportuna spesso come riferito dalla bibliografia l'associazione di atropina per limitare o prevenire alcuni effetti indesiderati della tiletamina.
Con i dosaggi sopra indicati invece non ho mai dovuto ricorre all'atropina, molecola con effetti collaterali a sua volta non indifferenti a livello nervoso e cardiocircolatorio.

Sottolineo subito che sconsiglio questo tipo di protocollo se si vuole ottenere solo una lieve sedazione. Le dose indicate a tale scopo dal foglietto illustrativo possono avere effetti indesiderati (disorientamento, tachicardia, ipotensione, talvolta allucinazioni) a mio avviso non plausibili per gli scopi clinici che si vogliono ottenere.
Conviene a mio avviso puntare comunque a un'anestesia generale anche quando si devono eseguire manovre poco invasive di breve durata (con le dosi sopra indicate in difetto di un 5% in volume l'anestesia totale all'incirca mezzora)


L'aspetto più complicato da monitorare in questo protocollo è l'iniezione. Occorre infatti una certa attenzione e sensibilità rivolta all'animale, da studiare e calibrare di volta in volta in base al caso.
L'iniezione infatti deve essere fatta molto lentamente perchè più veloci si va, più questo cocktail farmacologico irrita i tessuti. Iniettando alla velocità di circa 0,1 ml/sec ho constatato quasi totale indifferenza dell'animale alla puntura. Tuttavia più lenti si va più si rischia di far sentire l'ago quindi occorre molta mano ferma.
Di fondamentale importanza è distrarre l'animale con manovre dissuasive contemporaneamente all'iniezione. Cose non sempre facili a seconda dell'indole del soggetto e della collaborazione di colleghi/proprietari.

Occorre quindi conoscere bene il soggetto e come vale per ogni visita clinica, approcciarlo nel modo giusto occupando spazi e tempi necessari. Non è infrequente fare un'anestesia seduti per terra o in posizioni insolite, se il nostro paziente lo richiede per il suo agio. Perciò, supplico, non scandalizzatevi se lo vedete nei video dimostrativi di quanto qui descrivo.
Il mio scopo è mostrarvi la realtà, la realtà per il benessere dell'animale (e per gli addetti ai lavori). Non avrebbe senso mostrarvi solo il cane fermo immobile sul tavolo da visita come prevede l'immaginario collettivo (di cui tra l'altro cerca la compiacenza certa parte di quella schiera elitaria professionale che mostra solo situazioni ideali).

Dopo l'iniezioni seguono le fasi di induzione, mantenimento, risveglio.
L'induzione e il risveglio sono abbastanza sovrapponibili per tempi e comportamenti clinici. Se ben fatta in muscolo bastano pochi minuti (a volte secondi) per raggiungere un'anestesia profonda. Induzione e risveglio richiedono comunque luoghi il più possibile vuoti di stimoli sonori e visivi, perchè l'animale avverte progressivamente perdere il controllo della realtà, vede la stanza girarsi (che tende a seguire di riflesso con i movimenti della testa) e sente venir meno i sensi, per cui può spaventarsi facilmente. E' consigliata la presenza del proprietario quindi anche durante l'induzione. Il risveglio con questo protocollo, se accompagnato in ambiente altrettanto neutro (offerto dalle gabbie di degenza professionali), è una fase pressochè priva di inconvenienti (come ad esempio guaiti o soprassalti dovuti a percezioni improvvise dopo la fine dell'anestesia, o per effetto allucinogeno della tiletamina qualora sovradosata/sottodosata o in sproporzionato rapporto con la benziodiazepina zolazepam).
Un aspetto assolutamente normale in induzione e risveglio (in induzione spesso desiderato) è il riflesso del vomito. Riflesso dell'anestesia che aiuta indirettamente a capire se l'animale è stato davvero a digiuno per l'intervento (cosa pericolosa se non lo fosse).
Il mantenimento di questa anestesia, con questo protocollo a questi dosaggi, è a mio avviso affidabile. L'ho personalmente verificato con  analisi ematologiche preanestetiche e monitoraggio elettronico di frequenza cardiaca, saturazione di ossigeno, pulsossimetro, temperatura (strumento utilizzato Mindray Mec-1200 Vet). Questo in 5 anni di di conduzione ambulatoriale come direttore sanitario, oltre che in collaborazione occasionale con altri ambulatori in un arco ormai quasi decennale. Questo inoltre su una casistica di interventi di routine (classe di rischio anestesiologico ASA 1) ma anche in taluni casi clinici critici (ASA 3-4) per necessità di urgenza o impossibilità dei proprietari di affidarsi a cliniche specializzate.
Tuttavia, adottando dosaggi di altri colleghi prima di realizzare questo, ho constatato come l'uso approssimativo dei dosaggi di zolazepam e tiletamina (come induce purtroppo il foglietto illustrativo a causa dei range molto ampi) possa indurre un mantenimento poco affidabile, se non addirittura rischioso per la vita dell'animale (rotture di anestesie per sottodosaggio che possono indurre iperdosaggio con iniezioni ripetute, oppure ipotermia indotta da cattiva gestione della temperatura ambientale)*.

Dunque questo è il motivo per cui, a mio avviso, negli ultimi decenni sono stati proposti protocolli anestesiologici più standardizzati con altri farmaci (ossia le anestesie gassose): la variabile posologica in primis, e il monitoraggio dall'induzione al risveglio.
Le anestesie gassose hanno aspetti biologici molto vantaggiosi (non sono metabolizzati nè eliminati da fegato e reni) e sono assai comodi perchè induzione e risveglio sono pressochè immediati.
Tuttavia sono molecole volatili (l'isofluorano, il più usato in veterinario, è un fluoruro). Occorrono notevoli investimenti in termini di circuiti per il loro monitoraggio sia ambientale che clinico. Inoltre il monitoraggio richiede personale professionale altamente specializzato giacchè il controllo del dosaggio deve essere ben calibrato minuto per minuto. Un uso superficiale di questa anestesia è altrimenti altamente rischiosa. Come ogni anestesia (ricordiamoci che porta il corpo animale, uomo compreso, a mimare una morte).
Questi sono tutti aspetti che, al di là di tutti i pro e contro dal punto di vista clinico per un protocollo o l'altro, incidono infine anche sui costi finali di un intervento.
Per amor di cronaca vanno segnalate anche le anestesie con anestetici generali iniettabili (per intenderci il Propofol, il farmaco che Michel Jackson si era ridotto ad assumere come sonnifero). Nella mia esperienza ho visto usare questo farmaco per circa un anno nella pratica clinica in chirurgie di routine, e personalmente è un protocollo che terrei come ultima alternativa per il troppo elevato divario costi/benefici.

Vivendo in una società dove purtroppo non è possibile per un veterinario avere a disposizione la scelta più adatta al caso (che senza ombra di dubbio richiederebbe la disponibilità di tutti i protocolli) credo che il criterio più utile per applicare in scienza e coscienza l'anestesia migliore, sia ancora quello suggerito da uno stimato professore:


,,L'anestesia migliore è quella che meglio si conosce''



(*)Soprattutto nei casi di sovrappeso, è importante tenere presente l'effetto sequestro del grasso corporeo. Il maggior peso richiama maggior dose, ma il mio consiglio è di usare la dose indicata per il peso forma dell'animale per l'iniezione intramuscolo, e successivamente aggiustare con un 2-5% della dose da somministrare però intravena, e attendere l'approfondimento dell'anestesia valutando con l'esame clinico (intravena a volte è questione di decine di secondi)

domenica 19 aprile 2015

Abuso di professione, o sopruso del benessere animale?




Questo è un incontro organizzato nel contesto di un Festival dedicato al turismo e alla cultura. 
Un professionista psicologo/psicoterapeuta analizza un tema molto moderno e delicato: gli animali da compagnia fonte di benessere interiore per i proprietari in vacanza.
I soggetti del tema sono due: l'uomo (i proprietari) e l'animale (i cani e i gatti). Tuttavia, a relazionare vi è una sola figura professionale, rivolta ai proprietari.

Allora siamo davanti a due ipotetiche circostanze, una esclude l'altra ma sono tristi entrambe.

Se in questo incontro si è davvero affrontato solo il benessere dei proprietari senza prestare alcuna attenzione anche al benessere del cane e del gatto, che in vacanza affrontano sempre numerosi stress, significa che gli animali sono stati trattati alla stregua di puri oggetti edonici a servizio dell'uomo. E non sarebbe una novità visto che spesso nel mondo occidentale gli animali da compagnia sono oggetto di sfogo di perversioni dei proprietari (nel migliore dei casi estetiche, come nelle toelettature estreme; violente nel peggiore dei casi come per i cani da combattimento).


Se invece in questo incontro è stato affrontato anche il benessere animale, allora si tratta di abuso di professione veterinaria. E anche questa purtroppo è una piaga diffusissima nel mondo dell'informazione, di nicchia (come nel caso di questo incontro) ma anche di massa (tipica l'intervista tele-giornalistica dell'esperto allevatore-addestratore che parla di disturbi comportamentali del cane).
Dubito che nel paese in cui si è tenuto l'evento non ci siano stati medici veterinari pronti a prestare la loro consulenza. Con una semplice ricerca on-line se ne può avere subito una lista con relativi recapiti che lascia l'imbarazzo della scelta.

Ecco allora che questa occasione, è doppiamente triste. Ma non è la prima e non sarà l'ultima. E' solo l'ennesima occasione in cui gli animali o i medici veterinari, i professionisti della loro cura, sono trattati con indifferenza (nel caso dei medici) o pericolosa superficialità (nel caso degli animali).

E pensare che uno studente di medicina veterinaria affronta studi di matematica, fisica, biologia, anatomia, fisiologia, patologia, etologia, clinica (medica, ostetrica, chirurgica) e farmacologia... dei mammiferi (l'uomo, per dire, è un mammifero...e i medici umani studiano "solo" l'uomo).
Ma non solo. Studia anche legislazione, zootecnia, nutrizione, tecnologia degli alimenti (di origine animale), igiene e ispezione degli alimenti (di origine animale), di cui sono professionisti una volta ottenuta la laurea specialistica a ciclo unico (non è previsto il 3+2) solo ed esclusivamente dopo minimo cinque anni di studio.

Concludo questa riflessione con l'osservazione più curiosa. Ossia che se si azzardasse un medico veterinario a parlare di psicologia e psicoterapia dei proprietari di animali (allevatori o semplici proprietari che siano) di cui hanno esperienza tutti i giorni nella loro pratica e di cui indirettamente diventano esperti in pochi anni di attività... sia mai: "apriti o cielo!".
Ma chissà su chi cadrebbe poi la giustizia divina dei fulmini di Zeus.


giovedì 26 marzo 2015

Soccorso animali feriti sulla strada. Cittadini, avvocati ed autorità competenti.



Partiamo dalle autorità competenti.
 


Rimandiamo a questo link per approfondire il parere dell'Associazione Nazionale dei Medici Veterinari Italiani(ANMVI) sull'entrata in vigore del codice della strada che prevede l'obbligo di soccorso in caso di animali feritisulla strada (2010).


Come interpretano gli avvocati?

Riportiamo una interessante analisi:
FACCIAMO UN PO' DI CHIAREZZA SU COMPITI E COMPETENZE NEL SOCCORSO DI ANIMALI FERITI (
Liberamente tratto dagli scritti dell'Avv. Maria Morena Suarìa, integrati e rivisitati dal l.r.p.t. Ass.ne Nati Liberi, avv. Alessandra Pratticò)


Cosa ne pensano i cittadini?

La percezione è che come spesso accade in Italia anche questa legge è ben ispirata e stilata dal punto di vista teorico ma realisticamente poco applicabile.
Perchè se il problema è un'inciviltà a monte (perchè gli animali vagano liberi per le strade? perchè gli automobilisti devono usare le strade come piste da autodromo?) è futile il tentativo di correggerne le conseguenze a valle.
Si cade in belle chiacchiere. Belle fin che si vuole, ma pur sempre chiacchiere.

In un paese dove ubriachi e tossicomamni recidivi fanno a gara di pirateria stradale reiterata senza badare alle persone, figuriamoci quali deterrenti la legislazione può attuare per tutelare le vittime animali della strada. 

Eppure oggi, nel 2015, il numero di vittime della strada (uomini e animali) sarebbe approssimato allo zero se si applicasse la nuova tecnologia automobilistica del pilota automatico, già brevettata da anni e applicata solo in alcune in parte negli USA (le lobby delle compagnie assicurative la stanno già mettendo all'angolo boicottandola a livello normativo: vedi recensione sul tema di Federico Pistono nel suo libro best seller).






Tornando alla realtà pratica italiana, codice stradale alla mano già da 5 anni, vediamo cosa accade dal punto di vista pratico davanti a un animale incidentato:

1- Il cittadino chiama la polizia locale   
2- La polizia locale dice di chiamare l'Ulss di riferimento   
3- L'ulss rimanda alla polizia locale   
4.a - Il cittadino pianta lì l'animale e scappa maledicendo il sindaco   
4.b - Il cittadino porta l'animale dal veterinario privato e lo lascia lì    
4.c - Il cittadino porta a casa l'animale e se ne prende cura da solo dopo averlo redarguito: "ok, ti porto a casa perchè mi fai pena: ma soldi per il veterinario non ne ho!"

Questo di norma. E lo posso confermare da veterinario oltre che da cittadino. Poi ci sono le eccezioni: persone vocate alla santità che mosse dalla compassione verso creature indifese abbandonate a se stesse (in atroci sofferenze cui sono state condannate senza alcuna colpa) agiscono con lo spirito del buon samaritano.
E senza badare a spese si prodigano per garantire il soccorso necessario al caso.

Da veterinario in dieci anni di attività ho avuto la fortuna di conoscere anche queste persone. E la chiamo fortuna non per un ritorno economico (nei casi che mi hanno coinvolto, è consistito quasi sempre in un riconoscimento per ammortizzare le spese, talora neppure quelle). La chiamo fortuna perchè questo è uno dei rarissimi frangenti rimasti in cui la vita ti fa rendere conto che l'essere umano ha ancora qualche connotato "umano"... nell'era pervertita dell'economia della finanza.
Queste persone sono una vera e propria luce in fondo al tunnel. Non solo per gli animali che soccorrono ma per l'umanità intera.

Parlando ancora da veterinario, suggerendo una strategia utile da adottare in questi casi anche per chi votato alla santità non è (o si sta attrezzando) è portare nella rubrica del telefono due numeri (oggi gli smartphone aiutano comunque a reperirli facilmente senza impegnare la rubrica).


1- il numero del canile più vicino 
2- il numero del veterinario privato più vicino

Certo il secondo numero più indicato sarebbe quello del veterinario ULSS reperibile di servizio, ma a risalire a questo è impresa improbabile perfino a Google.
Il canile però avrà sicuramente (o almeno si presume) contatti diretti con le autorità competenti. 
Se sarà un cane la vittima da soccorrere va come prima cosa sondato il microchip per risalire al proprietario, cosa che può fare anche il canile. Se la prognosi è fausta il cane andrà ad ogni modo in canile: ecco perchè vale la pena contattarlo per primo. 
Inoltre il canile ha un servizio veterinario di assistenza in caso di urgenze, per cui non sorgeranno problemi di parcelle e risarcimenti.
L'identificazione del microchip per risalire al proprietario è facilmente attuata anche da un veterinario privato ma recarlo lì può diventare un ulteriore perdita di tempo se non esiste un proprietario; perchè il veterinario privato (anche dopo eventuale intervento d'urgenza) lo destinerà comunque ad un canile.
Qualora invece si risale a un proprietario non ci sono più problemi per gestire l'iter clinico anche dal punto di vista fiscale.

Se la vittima è un gatto, contattare in primis un canile è comunque cosa consigliata perchè qualora non recuperano gatti avranno probabilmente contatti con i "gattili" più vicini. 
Inoltre far reperire una foto all'ambulatorio veterinario più vicino (anche qui la tecnologia aiuta) è cosa che consiglio vivamente perchè un proprietario che smarrisce un gatto genericamente contatta i veterinari limitrofi per avere notizie.


A mio avviso infine, giusto per dare credito al mio spirito nerd, credo sia cosa molto utile per chi viaggia con uno smartphone connesso pubblicare in tempo reale nei social network una foto dell'animale incidentato (ovviamente evitando inquadrature che potrebbero urtare la sensibilità qualora sia fisicamente molto compromesso) con tutti gli opportuni tag del caso: luogo, ora, riferimenti spaziali limitrofi di strade ed edifici conosciuti. Ad esempio:
"Rinvenuto animale incidentato vicino al supermercato PINCO nel Comune PALLINO all'incrocio delle vie XY. Chiamare a questo numero..." inserendo il proprio numero (per i votati alla santità) o i due consigliati sopra se i riferimenti del caso saranno affidati a ULSS o canile.
Questa strategia oltre ad offrire maggiori probabilità di raggiungere il proprietario visto il potenziale immenso del tam-tam della rete, vi tutela anche legalmente come testimonianza di aver prestato soccorso, e magari può fornire indicazioni utili su chi l'ha eventualmente omesso mettendole a disposizione delle autorità competenti.

Le potenzialità delle tecnologie informatiche sono immense ma purtroppo così nuove che spesso, a causa di molti pregiudizi, non ci rendiamo conto di quanto ci possono aiutare.  

Questo è quello che posso raccontare da veterinario. Vi racconto ora, per rimanere fedele allo scopo del mio blog, la mia esperienza diretta su questa tematica come cittadino-veterinario.






Da cittadino mi è successo tre volte nella vita di avere a che fare con gatti investiti. 

La prima volta è stato poco dopo la patente, fine anni 90. In un rettilineo a Casale Di Scodosia, ricordo un botto sordo dal nulla su un lato della carrozzeria e subito dopo la vista sullo specchietto retrovisore di un gatto che si dimena in mezzo alla strada. Era estate e la scena era limpidissima. Rallentai la corsa dell'auto nel mentre osservavo, esterrefatto. Nell'attimo in cui mi ritrovai fermo con l'auto, in quella strada deserta di un primo pomeriggio, il gatto schizzante come una molla di punto in bianco non si mosse più.
Fu agghiacciante. Non avevo mai preso sotto un gatto. Non avevo mai visto morire un essere vivente in quel modo compulsivo. Lottando come si suol dire (e lo capii solo allora) tra la vita e la morte. Mi misi a piangere disperatamente ritornando a guidare. Mi aveva terrificato aver indotto, io, una sofferenza del genere. Perchè anche se non volontariamente, la colpa era mia: io guidavo l'auto, e generalizzando in modo estremo, quella strada era stata costruita dalla mia specie animale, per scopi e pretesti ingiustificati di fronte a quell'enorme sofferenza, che ne risultava semplice effetto collaterale. Pregai il cielo di non farmi più partecipe a sciagure del genere. Sperando in cuor mio che la mia proverbiale (per chi mi conosce) guida lenta fosse se non altro incentivo a non traumatizzare più di tanto il prossimo sventurato.


La seconda volta avvenne appena qualche anno dopo la laurea. Non fui spettatore di una scena agonica come la prima, ma emotivamente per me fu nettamente più traumatico.
Perchè la gatta investita era la mia.
Stavo facendo retro con il pick-up nella corte di casa, fatalità proprio per andare a prendere delle anestesie per sterilizzare i due maschietti di tre cuccioli di gatto da poco accasati. Osservavo sereno sotto un tavolo i tre micetti mentre facevo manovra. Ma qualche secondo dopo aver inserito la prima sentii l'urlo di un gatto, e dallo specchietto vidi la femmina scappare nel giardino attiguo. "Cavolo! speriamo di averle preso solo la coda!" dissi tra me scongiurando di averle rotto una gamba. Corsi a cercarla tra gli alberi, e la trovai in stato preagonico. Stuporosa e ansimante. Corsi in casa a prendere del cortisone per temporeggiare finchè non recuperavo le anestesie. Ma quando tornai dopo un minuto già non respirava più. Preso da uno sconforto indicibile, le iniettai lo stesso il cortisone tra le lacrime.
Surreale all'ennesima potenza. Non bastava la mortificazione di aver ucciso un proprio animale. No. Doveva aggiungersi la tragicommedia dell'assurdo che capitasse mentre andavo a prendere delle anestesie per loro.


A questo punto raccontando la terza volta cosa vi potreste aspettare? Bene per compensare con una magra consolazione vi dico che la terza volta il samaritano l'ho fatto io, e non con un gatto che ho incidentato io. Anche se di nuovo non mancherà un inaspettato colpo di scena finale...
Stavo tornando dal mio ambulatorio verso casa in una fredda sera, tre o quattro anni fa, mi pare fosse autunno avanzato. Sulle curve di campagna tra Pojana Maggiore e Sossano mi imbatto in un gatto in stato di shock sul ciglio della strada. Mi fermo una decina di metri dopo, pensando che magari fosse della famiglia della casa li vicino. Mi avvicino e noto approssimativamente segni di una seria compromissione nervosa centrale. Lascio l'auto con quattro frecce in prossimità del gatto, e suono alla casa vicina. Mi dicono di tentare con l'altro campanello (era una bifamiliare) al che esce una signora sospettosa. Le chiedo se era loro il gatto che le indicavo sulla strada, e sopraggiungendo dei ragazzi e degli anziani di famiglia esclamarono il nome del gatto. Allora mi prodigai a fare della consulenza per il caso. E lì si creò una situazione imbarazzante. Perché suonò strano ai più attempati della famiglia che li si trovasse fatalità proprio un veterinario, con delle anestesie, a proporre una puntura al loro gatto incidentato. In realtà una scorta di anestesia nelle stagione fredda l'ho sempre portata in auto proprio per far fronte ad eventuali situazioni del genere, vuoi per evitare di rivivere le esperienze precedenti, o più semplicemente per non sentirsi veterinari sbagliati al momento disgraziatamente giusto nel posto disgraziatamente giusto. In realtà questione di ore e a mio avviso, in scienza e coscienza, quel gatto non ce l'avrebbe fatta, perchè nella decina di minuti intercorsi tra il soccorso e l'interazione con la famiglia, il suo quadro era degenerato.
Insomma, mi offrii per fare l'anestesia se non altro per lenire delle sofferenze in atto, lasciando ai proprietari di decidere per conto loro se "attendere miglioramenti" o portare l'animale negli ambulatori della zona. "E che costi ci sono?" mi sentii chiedere con aria sospetta. "Nessuno" risposi. "E' un costo irrisorio per questo peso". Così giusto per non dare alcun sospetto che quella fosse una qualche situazione creata da uno sconosciuto quale ero, per approfittarne. E comunque davvero erano risoluti a lasciare il gatto al suo destino senza alcun intervento. Neppure avendolo lì a portata di mano. "Il gatto è dei suoceri... Va e viene... Siamo contrari a certe cose... preferiamo che la natura faccia il suo corso...". Le scuse sono innumerevoli, ma sempre le stesse.
Morale della favola, a vedermi tanto premuroso, disponibile, e magnanimo nell'aver soccorso ed offerto un servizio...si convinsero che il gatto lo avevo preso sotto io. 
E ne ebbi la conferma quando arrivato il decimo vicino a curiosare gli descrissero la situazione proprio in questi termini. "Ha preso sotto il nostro gatto...e gli sta facendo la puntura...è un veterinario..."
A quel povero micio non servì l'eutanasia perchè bastò mezza dose di anestesia perchè cessasse di battere il cuore. Neppure al mio di cuore servì l'eutanasia: bastò la malfidenza dei proprietari per scavargli una buca.
Umiliante all'ennesima potenza. Davvero. Entrare in una casa con un animale sofferente per aiutarlo, e uscirne sentendosi guardati come chi l'ha ucciso. Sono esperienze che ti segnano oltre che sul senso della sofferenza animale anche sui valori dell'essere umano. E ti interrogano. Sempre sulla scia di quei perchè cui ho voluto trovare risposta. O meglio ho dovuto trovare risposta. Perchè è questione di vita o di morte, quando c'è di mezzo l'umiliazione.   

Le domande che emergono sono: perchè siamo ridotti a giudicare ogni situazione, anche le più drammatiche, sul piano speculativo? Perchè abbiamo come unico metro di misura dei comportamenti delle persone nella quotidianità, il movente finanziario?
Queste domande mi hanno logorato per anni. Ma una risposta ce l'hanno.
Avevo ribadito più di una volta che il gatto lo avevo trovato in quelle condizioni e non avevo investito io, onde evitare fraintendimenti. Ma evidentemente non volevano riconoscerlo perchè ciò significava sentirsi in dovere di pagare una prestazione veterinaria. Invece così, vedendomi come la causa del misfatto, il mio servizio appariva un atto dovuto.
Mi sono chiesto in tutti questi anni se è possibile essere proprietari di animali con uno spirito diverso. Mi sono chiesto se è possibile essere veterinari con uno spirito diverso. Le risposte sono "sì". Ma occorre una società che funziona in modo diverso. Con altri motori rispetto alla finanza e altri carburanti rispetto al denaro. O le cose non cambieranno mai.

Le risposte ci sono e non sono altri problemi ma soluzioni vere. E io ho intenzione di logorare la rete a furia di raccontarvele



giovedì 19 marzo 2015

18 marzo 2015...emozioni all'assemblea dell'Ordine dei Medici Veterinari di Padova


Ieri sera assemblea dell'Ordine dei Medici Veterinari di Padova. Impossibile non condividere due emozioni.


La prima, aver sentito per l'ennesima volta in dieci anni il Presidente dell'Ordine lamentarsi per le nefaste conseguenze della Legge Bersani sui tariffari minimi, e questo appena dopo la proiezione della foto ricordo Moretti-FROV fatta il giorno prima.

Cos'è la FROV? E' la Federazione Regionale Ordini Veterinari Veneto (il suo Presidente è il Presidente dell'Ordine di Padova). 
E la Moretti? La Moretti non è la birra. E' il deputato del Partito Democratico (PD) neo-aspirante governatore del Veneto...nonchè ex-portavoce di Bersani
Una formalità quella foto. Sarà scattata prossimamente anche con gli altri due candidati alla Regione Veneto (Zaia/TosiJacopo Berti candidato portavoce del M5S in Veneto).
Speriamo che oltre alle formalità con i prossimi interlocutori si approfondiscano i contenuti...magari anche del curriculum.



Moretti e Zaia entusiasti di mungere
incontrando la Coldiretti

La seconda emozione è stata il giuramento dei nuovi iscritti all'Ordine. Formalità anche questa ma almeno sul contenuto a loro non si può rimproverare nulla. E anzi spetta a loro, ai posteri, l'ardua sentenza.




PS. Le Federazioni Regionali degli Ordini sono auto-istituite e non rientrano nella normativa inerente la costituzione degli ordini professionali .



domenica 15 marzo 2015

L'Università...


Dieci anni fa, il 15 marzo 2005, mi laureavo.
Ero immensamente emozionato. La tesi della mia laurea verteva sulle distrofie muscolari come ho anticipato in Quel gioco da ragazzi. Tuttavia era un'emozione mista di connotati contrastanti. Belli e paurosi allo stesso tempo. E in quanto tali, sublimi.

La distrofia muscolare è la malattia che condizionò psicologicamente il mio primo test universitario. La sclerosi multipla cinque anni dopo condizionò l'ultimo. E non solo psicologicamente. Ma andiamo per ordine.
Quel difetto genetico muscolare impietoso aveva colpito due miei nipotini. Era il 1999 l'anno di nascita del secondo nipotino. Era il 1999 l'anno in cui a casa venimmo informati della malattia di entrambi i nipotini. Era il 1999 l'anno in cui tentavo un test a medicina veterinaria e contemporaneamente studiavo sodo per entrare a fisioterapia.

Su circa circa 350 iscritti al test di ammissione a veterinaria, mi classificai 73° su 75 posti a disposizione. Su circa 900 iscritti a fisioterapia mi classificai 129° se la memoria non mi inganna. Ma i posti a disposizione erano 30.

Avevo cominciato ad interessarmi alla fisioterapia dopo che mi ero operato a un legamento crociato a 16 anni. Tre anni dopo però, in quel frangente che stravolse tutti in famiglia per la nuova sfida che il destino ci aveva affidato, mi pareva potesse essere un'attività che avrebbe potuto portar beneficio anche ai miei nipoti, a tempo debito.
Cosa assurda, col senno di poi. Ma in quei momenti (in questi momenti) della vita in ci si aggrappa a qualsiasi speranza pur di conservare, l'insensatezza più totale delle cose, una parvenza di motivazione.

Aver passato il test a veterinaria mi sconvolse, Avevo fatto il test per una promessa che avevo fatto a me stesso qualche anno prima (a 19 anni...forse un decennio prima). Volevo forse solo testare se ero portato a farlo come avevo desiderato spesso negli anni. E mi dicevo: "Son certo di non passarlo...ma almeno non mi tengo il dubbio per il resto della vita se non lo faccio". E non ero per nulla sereno facendolo. In quel mentre mi dicevo: "Era meglio se mi tenevo il dubbio. Se non lo passo sarà una sconfitta conclamata per essermi illuso di esser portato per questo lavoro. Ma se lo passo io non resisto 5 e più anni sui per un pezzo di carta!"
Mi ero convinto dall'esperienza liceale infatti che, al di là dei desideri infantili, non ero portato per lunghi studi universitari. Motivo per cui mai pensai a studiare medicina umana.
Fatto è che l'accaduto di quel 1999 mi segnò profondamente nelle scelte. Volevo far qualcosa che tornasse utile alla causa dei miei nipoti.

Passare il test di veterinaria mi sconvolse. Come potevo concentrarmi sulla salute e malattia degli animali...io che ero da poco zio di due creature che avrebbero avuto bisogno di lì a poco di seri aiuti e contributi?

Indagai un attimo prima di iscrivermi definitivamente. Veterinaria dai programmi universitari offriva ampi sbocchi in campi di ricerca biomedica. I modelli animali erano importanti nello studio di queste malattie. E potevo comunque fare gli esami del primo anno e vedermi abbonati molti esami a fisioterapia se avessi voluto ritentarlo l'anno dopo.

Passai un primo anno universitario alla grande. Con immensi sacrifici per la frequenza obbligatoria 5 giorni a settimana dalle 8.15 di mattina alle 19 di sera. Impiegando quasi due ore di mezzi pubblici per raggiungere la facoltà, Significava sveglia alle 5.45 e ritorno alle 21. Uscivo di casa col buio e ritornavo che era buio.
Eppure passai tutti gli esami con una media superiore al 26. Una cosa inimmaginabile fino all'anno prima. Ma lo studio approfondito della biologia, della genetica, dell'anatomia, della biochimica...fu un colpo di fulmine pazzesco.

Poi le cose cominciarono ad andare inclinarsi. Studiare la microbiologia veterinaria, fu una svolta critica. Qualcosa cominciava a non tornare sul senso profondo delle malattie su cui avevo cominciato ad indagare, fin dal primo anno, lungo binari personali, guidato dal pensiero sui miei nipoti.

Fu al secondo anno di Univeristà che a fianco dei libri di medicina aperti sulla scrivania, cominciò a trovarsi affiancato un testo che con la medicina non sembrava avere molto a che fare. Eppure.

Mi tornò in quell'anno in mente una storiella che sentii raccontare a una cena un chirurgo, un pò brillo. Io avrò avuto circa 10 anni. L'avevo ascoltata con estremo interesse, mi impressionò per come fu raccontata, ma l'avevo sepolta nei ricordi. E mi tornò alla mente proprio studiando microbiologia, al secondo anno.

La storiella dice così.

'' Nelle caverne un dì, tre uomini erano davanti al fuoco. Uno di loro disse: 'Visto che c'è tanto bisogno, d'ora in poi provo a curare le malattie del corpo'. Bene dissero gli altri due. E nacque il primo medico. Un secondo disse: 'Visto che c'è tanto bisogno, io allora curerò le malattie dello spirito'. E nacque il primo prete. Il terzo perplesso, non sapendo cosa proporsi disse:'E io? Come posso essere utile?'. 'Tu devi sentirti ammalato!' esclamarono i primi due. ,,
Quel libro al centro della scrivania tra tanti libri aperti di medicina era la Bibbia...




Work in progress




giovedì 29 gennaio 2015

Quel gioco da ragazzi...



La vita ha voluto sfidarmi a diventare veterinario che avevo circa otto anni mostrandomi dal vivo e nel profondo cosa fosse la sofferenza animale. Non me ne ero reso conto subito della sfida. Anzi, quando il 9 settembre 1999 ho "tentato" il test di ingresso alla facoltà veterinaria da poco aperta nella mia provincia, sapevo di essere io a sfidare la vita perchè mi ero relativamente convinto negli anni che quella non fosse la mia strada. Erano andati e venuti tanti interessi lavorativi. Solo mi dicevo che se mai avessi voluto contribuire allo studio sperimentale di una cura per le distrofie muscolari che in quei mesi colpirono due miei nipotini, quella era l'unica soluzione alla mia portata.
Ovviamente poi non ho scoperto alcuna cura per le distrofie nonostante siano state appassionatamente oggetto della mia tesi di laurea. Però, di nuovo senza che mi rendessi conto, le basi per una cura quegli anni le hanno gettate. Una cura per me. 
E non mi riferisco ai sintomi della sclerosi multipla comparsi un mese prima dell'ultimo esame, ovvero due mesi prima della laurea in programma per quel 15 marzo 2005. Non mi riferisco neppure a una cura farmacologica.
A cosa mi riferisco lo scoprirete pian piano. Potrebbe essere un pò antipatico dirvi subito, senza farvelo scoprire, che avete anche voi la mia stessa malattia e bisogno anche voi della mia stessa cura.
Vorrei cogliere l'occasione qui di rendere la pazienza terapeutica oltre che propedeutica. Non è un caso se pure io ho atteso 10 anni prima di spingermi a rendere pubbliche certe confidenze.
Da quando mi è balenata l'idea di "fare il veterinario da grande" il mondo che mi circonda è andato incontro a tantissimi mutamenti. Oggi è un boccone quasi impossibile da mandar giù constatare che il significato di fare il veterinario, nella mente di un ragazzetto, era una mera fantasia che con la realtà non ha nulla a che fare se non nelle apparenze.
Quei mutamenti vanno sommati ai mutamenti interiori che attraversa un bimbo che diventa uomo.
Dei due ambiti quale sia stato più terapeuticamente traumatico nel mio caso non saprei. Chissà se sarà intuibile alla fine di questo post.

A otto anni un cucciolotto meticcio di 4 mesi mi ha dato la più grande lezione di vita che io abbia appreso finora.
Whisky mi mostrò dal vivo cos'è la sofferenza e la morte. Ma non solo. Mi rivelò in un colpo solo con il suo sacrificio, oltre a queste leggi sacre della vita, anche il paradosso assurdo di leggi che non la vita, non l'esistenza ha imposto all'uomo, ma l'uomo si è ideato da sè, scelto ed elaborato da sè e per sè: il sistema economico finanziario (moderna accezione di homo homini lupus est).

La compagnia di un cagnolino per un bimbo ultimo di quattro figli con tre sorelle più grandi è assai sovrapponibile a quella di un fratellino.
Giocavo con Whisky e lui era il mio fedele amico in un mondo immaginario fatto di proiezioni cinematografiche del film visto la sera prima, o del cartone del pomeriggio stesso. Se io ero Rambo lui era l'amico da salvare in guerra. Se io ero Oliver Hutton lui era Bruce Harper. E ovviamente se io ero JohnThorntorn lui era Buck. Ero consapevole allora di aver fatto una mania con il mio compagno. Non volevo più andare a scuola pur di non lasciarlo solo. Eravamo diventati una cosa sola.

Una mattina lo vidi un pò mogio. Non scodinzolava come il solito. "Vedi nonna che soffre se vado a scuola! Non vuole star da solo! Che senso ha che stia male lasciamelo portare a scuola!".
E non capivo davvero perchè noi bambini non potessimo avere a scuola i nostri animali. Avrei fatto i compiti mille volte più volentieri con lui lì esattamente come accadeva a casa.

Ma quel giorno al mattino l'angoscia era solo appena cominciata. Al pomeriggio quando tornai Whisky stava male. Male davvero. Era immobile. Mi guardava con la testa bassa. E si lamentava. Guaiva stando fermo. Per me era come un costante dirmi "sto male...sto male... non riesco a giocare...sto male anche a star fermo... mi dici cosa sta succedendo che sto male? sono stanco di questo male mi aiuti? sto male...".
Il veterinario più vicino reperito a quell'ora di pranzo ci disse che era forse era troppo tardi. Un avvelenamento troppo massiccio. Lo avrebbe prelevato da lì a mezzora per tentare il tutto per tutto...o se non altro per alleviare sofferenze.

Non ha avuto neppure questa fortuna, quel mio fratellino. Io non ho saputo staccarmi da lui anche se stava diventando sempre più insopportabile vederlo lentamente agonizzare. Siamo rimasti soli. Tremando per le convusioni, "soffocando nal suo stesso liquido" come in gergo si dice per gli avvelenamenti che causano forte edema polmonare, ci siamo fissati negli occhi mentre spalancava la bocca nel suo ultimo respiro.

Fu una cosa indecifrabile. Sotto ogni aspetto. Il tempo si fermò. Gli spazi non esistevano più. Ho visto un essere vivente aggrapparsi alla vita per un ultima volta con tutto se stesso. Ho visto un essere vivente percepire la morte come ultima sensazione di sollievo a indescrivibili sofferenze. Ho visto un essere vivente accogliere la morte come un dono immenso pari a quello che la vita gli aveva offerto ogni giorno fino al giorno prima vivendo insieme a me, giocando insieme a me, divertendosi come un matto insieme a me. 
Qualcosa, non tornava.

Avrei voluto a otto anni disperarmi perchè lui non c'era più invece non credo di averla mai percepita quella disperazione. Mi sono disperato invece per quello che aveva sofferto. Per quello che gli era stato privato. Tutti i bei ricordi vissuti insieme apparvero una maledizione, e la mia disperazione era non comprendere il senso di tutta quella sofferenza. La parola FINE a un bellissimo film che era appena cominciato comparsa all'improvviso sullo sfondo di una scena agghiacciante per crudeltà e insensatezza...che senso aveva? Non si era mai vista neppure in tv.

Il mondo per me, dopo quel giorno, non era più lo stesso. In modo lento ma inesorabilmente continuo hanno preso forma domande sul significato dell'esistenza che mi hanno accompagnato per una vita. Perchè era là quel veleno? Perchè non era lì il veterinario? Perchè non siamo andati noi prima da lui? Perchè si sono create tutte quelle situazioni? Perchè? Perchè? Semplicemente perchè.


Un mio paziente sorprendentemente assomigliante a Billy

E quello fu solo l'inizio. Ogni volta che vedevo sofferenza in giro, il mio termine di paragone era lui, il volto con lo sguardo stravolto del mio migliore amico, del mio fratellino sul punto di morire. In tv come nella realtà, se mi capitava di imbattermi nella sofferenza di qualcuno, ero quasi immediatamente in grado di percepire se quella era sofferenza vera, o una messa in scena. Fosse essa minima o immensa. E quando era vera, anche solo incrociandola per un istante, io soffrivo allo stesso modo rivivendo le emozioni sconvolgenti di quell'ultimo saluto di Whisky.
Ma quando era falsa quella sofferenza, quando mi imbattevo in messe in scena a scopo imbonitore o peggio a fini di lucro, sentivo covare una rabbia spietata per la mancanza di rispetto verso la vera sofferenza.

Non so se quel triste evento ha fatto scoppiare il grilletto per un'ipersensibilità o un'intelligenza emotiva precoce.  Queste sensazioni le vivo ancora oggi e seppur come percezioni, reazioni e riflessi da persona adulta, hanno i connotati sfumati delle percezioni, reazioni e riflessi che vivevo da bambino.
L'unica cosa rimasta intatta ed identica priva di sfumature di allora, è quella domanda: Perchè?

Voi non ci crederete, ma lentamente e in modo inesorabile, ora cercando in modo estenuante ora oziando disinteressatamente, son saltate fuori le risposte a tutti i perchè scaturiti da allora. Ci hanno messo una vita quei perchè. Hanno percorso spazi e tempi e tragitti impensabili. Ma ogni domanda da allora, dando vita ad altre domande, ha trovato la sua risposta. 
A volte il "perchè" della risposta è meno doloroso della domanda. Altre volte avviene il contrario. Quando hai a che fare con malattie degenerative infantili, trovi risposte a domande che non capisci bene se è più dannata la domanda o la risposta. Ne esci così trasformato che se poi per una strana coincidenza ti ritrovi a tua volta a vivere una malattia degenerativa, vuoi perchè da quella ricerca ne esci psicologicamente demolito, vuoi per qualche risvolto psicosomatico o vuoi per pura e semplice fatalità... beh cercare e trovare risposte diventa comunque un gioco da ragazzi.

Questo gioco durato anni per me, una volta presa la laurea pensavo fosse bene o male finito. Invece era solo cominciato. Il bello è venuto dopo. Ma ve lo racconterò un pò alla volta e il motivo è più o meno quello accennato sopra: ho dovuto imparare a stare molto attento, con questo "gioco". 
E ho cercato di esserlo soprattutto in questi ultimi anni, con in mano questi stessi strumenti qui che stiamo usando anche ora. Strumenti di ricerca, di confronto, di condivisione, di comunicazione. Ho capito che è pericolosissimo confidare ciò che la gente non è abituata a pensare: la gente questo non vuole neanche minimamente sentirselo dire, nè leggerlo.

Quando diventa un gioco da ragazzi cercare, trovare, condividere e confidare la propria esistenza, e ti ritrovi accerchiato da adulti, ve lo garantisco: bisogna stare molto attenti.
I giochi da ragazzi agli adulti stanno quasi sempre sulle balle. 
Forse perchè ricordano quanto sia un fallimento diventare adulti...in una società che gira attorno al denaro.

Continua con l'Università..