giovedì 29 gennaio 2015

Quel gioco da ragazzi...



La vita ha voluto sfidarmi a diventare veterinario che avevo circa otto anni mostrandomi dal vivo e nel profondo cosa fosse la sofferenza animale. Non me ne ero reso conto subito della sfida. Anzi, quando il 9 settembre 1999 ho "tentato" il test di ingresso alla facoltà veterinaria da poco aperta nella mia provincia, sapevo di essere io a sfidare la vita perchè mi ero relativamente convinto negli anni che quella non fosse la mia strada. Erano andati e venuti tanti interessi lavorativi. Solo mi dicevo che se mai avessi voluto contribuire allo studio sperimentale di una cura per le distrofie muscolari che in quei mesi colpirono due miei nipotini, quella era l'unica soluzione alla mia portata.
Ovviamente poi non ho scoperto alcuna cura per le distrofie nonostante siano state appassionatamente oggetto della mia tesi di laurea. Però, di nuovo senza che mi rendessi conto, le basi per una cura quegli anni le hanno gettate. Una cura per me. 
E non mi riferisco ai sintomi della sclerosi multipla comparsi un mese prima dell'ultimo esame, ovvero due mesi prima della laurea in programma per quel 15 marzo 2005. Non mi riferisco neppure a una cura farmacologica.
A cosa mi riferisco lo scoprirete pian piano. Potrebbe essere un pò antipatico dirvi subito, senza farvelo scoprire, che avete anche voi la mia stessa malattia e bisogno anche voi della mia stessa cura.
Vorrei cogliere l'occasione qui di rendere la pazienza terapeutica oltre che propedeutica. Non è un caso se pure io ho atteso 10 anni prima di spingermi a rendere pubbliche certe confidenze.
Da quando mi è balenata l'idea di "fare il veterinario da grande" il mondo che mi circonda è andato incontro a tantissimi mutamenti. Oggi è un boccone quasi impossibile da mandar giù constatare che il significato di fare il veterinario, nella mente di un ragazzetto, era una mera fantasia che con la realtà non ha nulla a che fare se non nelle apparenze.
Quei mutamenti vanno sommati ai mutamenti interiori che attraversa un bimbo che diventa uomo.
Dei due ambiti quale sia stato più terapeuticamente traumatico nel mio caso non saprei. Chissà se sarà intuibile alla fine di questo post.

A otto anni un cucciolotto meticcio di 4 mesi mi ha dato la più grande lezione di vita che io abbia appreso finora.
Whisky mi mostrò dal vivo cos'è la sofferenza e la morte. Ma non solo. Mi rivelò in un colpo solo con il suo sacrificio, oltre a queste leggi sacre della vita, anche il paradosso assurdo di leggi che non la vita, non l'esistenza ha imposto all'uomo, ma l'uomo si è ideato da sè, scelto ed elaborato da sè e per sè: il sistema economico finanziario (moderna accezione di homo homini lupus est).

La compagnia di un cagnolino per un bimbo ultimo di quattro figli con tre sorelle più grandi è assai sovrapponibile a quella di un fratellino.
Giocavo con Whisky e lui era il mio fedele amico in un mondo immaginario fatto di proiezioni cinematografiche del film visto la sera prima, o del cartone del pomeriggio stesso. Se io ero Rambo lui era l'amico da salvare in guerra. Se io ero Oliver Hutton lui era Bruce Harper. E ovviamente se io ero JohnThorntorn lui era Buck. Ero consapevole allora di aver fatto una mania con il mio compagno. Non volevo più andare a scuola pur di non lasciarlo solo. Eravamo diventati una cosa sola.

Una mattina lo vidi un pò mogio. Non scodinzolava come il solito. "Vedi nonna che soffre se vado a scuola! Non vuole star da solo! Che senso ha che stia male lasciamelo portare a scuola!".
E non capivo davvero perchè noi bambini non potessimo avere a scuola i nostri animali. Avrei fatto i compiti mille volte più volentieri con lui lì esattamente come accadeva a casa.

Ma quel giorno al mattino l'angoscia era solo appena cominciata. Al pomeriggio quando tornai Whisky stava male. Male davvero. Era immobile. Mi guardava con la testa bassa. E si lamentava. Guaiva stando fermo. Per me era come un costante dirmi "sto male...sto male... non riesco a giocare...sto male anche a star fermo... mi dici cosa sta succedendo che sto male? sono stanco di questo male mi aiuti? sto male...".
Il veterinario più vicino reperito a quell'ora di pranzo ci disse che era forse era troppo tardi. Un avvelenamento troppo massiccio. Lo avrebbe prelevato da lì a mezzora per tentare il tutto per tutto...o se non altro per alleviare sofferenze.

Non ha avuto neppure questa fortuna, quel mio fratellino. Io non ho saputo staccarmi da lui anche se stava diventando sempre più insopportabile vederlo lentamente agonizzare. Siamo rimasti soli. Tremando per le convusioni, "soffocando nal suo stesso liquido" come in gergo si dice per gli avvelenamenti che causano forte edema polmonare, ci siamo fissati negli occhi mentre spalancava la bocca nel suo ultimo respiro.

Fu una cosa indecifrabile. Sotto ogni aspetto. Il tempo si fermò. Gli spazi non esistevano più. Ho visto un essere vivente aggrapparsi alla vita per un ultima volta con tutto se stesso. Ho visto un essere vivente percepire la morte come ultima sensazione di sollievo a indescrivibili sofferenze. Ho visto un essere vivente accogliere la morte come un dono immenso pari a quello che la vita gli aveva offerto ogni giorno fino al giorno prima vivendo insieme a me, giocando insieme a me, divertendosi come un matto insieme a me. 
Qualcosa, non tornava.

Avrei voluto a otto anni disperarmi perchè lui non c'era più invece non credo di averla mai percepita quella disperazione. Mi sono disperato invece per quello che aveva sofferto. Per quello che gli era stato privato. Tutti i bei ricordi vissuti insieme apparvero una maledizione, e la mia disperazione era non comprendere il senso di tutta quella sofferenza. La parola FINE a un bellissimo film che era appena cominciato comparsa all'improvviso sullo sfondo di una scena agghiacciante per crudeltà e insensatezza...che senso aveva? Non si era mai vista neppure in tv.

Il mondo per me, dopo quel giorno, non era più lo stesso. In modo lento ma inesorabilmente continuo hanno preso forma domande sul significato dell'esistenza che mi hanno accompagnato per una vita. Perchè era là quel veleno? Perchè non era lì il veterinario? Perchè non siamo andati noi prima da lui? Perchè si sono create tutte quelle situazioni? Perchè? Perchè? Semplicemente perchè.


Un mio paziente sorprendentemente assomigliante a Billy

E quello fu solo l'inizio. Ogni volta che vedevo sofferenza in giro, il mio termine di paragone era lui, il volto con lo sguardo stravolto del mio migliore amico, del mio fratellino sul punto di morire. In tv come nella realtà, se mi capitava di imbattermi nella sofferenza di qualcuno, ero quasi immediatamente in grado di percepire se quella era sofferenza vera, o una messa in scena. Fosse essa minima o immensa. E quando era vera, anche solo incrociandola per un istante, io soffrivo allo stesso modo rivivendo le emozioni sconvolgenti di quell'ultimo saluto di Whisky.
Ma quando era falsa quella sofferenza, quando mi imbattevo in messe in scena a scopo imbonitore o peggio a fini di lucro, sentivo covare una rabbia spietata per la mancanza di rispetto verso la vera sofferenza.

Non so se quel triste evento ha fatto scoppiare il grilletto per un'ipersensibilità o un'intelligenza emotiva precoce.  Queste sensazioni le vivo ancora oggi e seppur come percezioni, reazioni e riflessi da persona adulta, hanno i connotati sfumati delle percezioni, reazioni e riflessi che vivevo da bambino.
L'unica cosa rimasta intatta ed identica priva di sfumature di allora, è quella domanda: Perchè?

Voi non ci crederete, ma lentamente e in modo inesorabile, ora cercando in modo estenuante ora oziando disinteressatamente, son saltate fuori le risposte a tutti i perchè scaturiti da allora. Ci hanno messo una vita quei perchè. Hanno percorso spazi e tempi e tragitti impensabili. Ma ogni domanda da allora, dando vita ad altre domande, ha trovato la sua risposta. 
A volte il "perchè" della risposta è meno doloroso della domanda. Altre volte avviene il contrario. Quando hai a che fare con malattie degenerative infantili, trovi risposte a domande che non capisci bene se è più dannata la domanda o la risposta. Ne esci così trasformato che se poi per una strana coincidenza ti ritrovi a tua volta a vivere una malattia degenerativa, vuoi perchè da quella ricerca ne esci psicologicamente demolito, vuoi per qualche risvolto psicosomatico o vuoi per pura e semplice fatalità... beh cercare e trovare risposte diventa comunque un gioco da ragazzi.

Questo gioco durato anni per me, una volta presa la laurea pensavo fosse bene o male finito. Invece era solo cominciato. Il bello è venuto dopo. Ma ve lo racconterò un pò alla volta e il motivo è più o meno quello accennato sopra: ho dovuto imparare a stare molto attento, con questo "gioco". 
E ho cercato di esserlo soprattutto in questi ultimi anni, con in mano questi stessi strumenti qui che stiamo usando anche ora. Strumenti di ricerca, di confronto, di condivisione, di comunicazione. Ho capito che è pericolosissimo confidare ciò che la gente non è abituata a pensare: la gente questo non vuole neanche minimamente sentirselo dire, nè leggerlo.

Quando diventa un gioco da ragazzi cercare, trovare, condividere e confidare la propria esistenza, e ti ritrovi accerchiato da adulti, ve lo garantisco: bisogna stare molto attenti.
I giochi da ragazzi agli adulti stanno quasi sempre sulle balle. 
Forse perchè ricordano quanto sia un fallimento diventare adulti...in una società che gira attorno al denaro.

Continua con l'Università..