domenica 17 gennaio 2016

Quando, come un cane, pregai di morire


Non pregiudicate il titolo di questo post, anche se significa alla lettera esattamente quello che dice. Perchè tenta di esprimere una serie di altre sfumature interpretative che ora spero di riuscire a raccontarvi con quanto sto per scrivere, e che ha lo scopo di tenere insieme esperienze dirette con la malattia, la morte, la medicina (tutta, non solo veterinaria) e il vissuto personale.

Oggi è il 16 gennaio 2016. Terminata da poco la prima settimana dopo l'epifania. Dieci anni fa, nel 2006, mi ritrovai a trascorrere la stessa settimana nel reparto neurologico di un ospedale.
Lo scopo era un aspirato del liquor spinale (per intenderci un prelievo a livello lombare del liquido che circonda il midollo spinale dentro la colonna vertebrale) per confermare o meno la presenza di anticorpi specifici e quindi approfondire una diagnosi di sclerosi multipla.

Va precisato che la sclerosi multipla non è un morbo per cui esiste un esame specifico che la diagnostica, per cui si è positivi o negativi. Si parte dal presupposto di sintomi clinici neurologici (molteplici in base alla parte del sistema nervoso centrale colpito) e poi si fanno una serie di esami collaterali (come i potenziali evocati, elettromiografie, TAC, risonanza magnetica, elettroforesi del liquor spinale...) per avere conferme o meno di deficit della conduzione nervosa.

Encefalo e midollo spinale (Sistema Nervoso Centrale)
La sclerosi multipla infatti è una diminuzione della capacità di trasmettere impulsi nervosi, ma non in tutti i nostri nervi bensì in quelli del tessuto nervoso che noi mammiferi proteggiamo dentro cranio e colonna vertebrale (ossia il cervello e il midollo spinale) e che sono un organo unico per quanto anatomicamente li distinguiamo in varie parti in base alla funzione fisiologica.

Ho avuto la fortuna di soffrire sintomi clinici acuti sospetti di sclerosi solo in un breve frangente della mia vita. Fatalità nei tre mesi forse più stressanti della mia vita. Quando stava per terminare una relazione durata più di quattro anni. Due mesi prima dell'ultimo esame universitario. Superato il quale avrei potuto laurearmi il mese successivo. E questo accadeva tra gennaio e marzo del 2005, un anno prima dell'esame del liquor.
I miei sintomi clinici sono stati qualcosa che ho ricondotto personalmente ad attacchi di emicorea. Questo mi risultò da un'intensa ricerca personale sui motori di ricerca scientifici che allora (era il 2005) usavo con una certa dimestichezza per la mia tesi sulle distrofie muscolari.

E' stato proprio sviluppando la tesi di laurea, tra l'altro, che ho cominciato a nutrire un amore spassionato per l'informazione condivisa (internet). Io sono di una generazione di laureati a cavallo tra quella che batteva tesi a macchina in 12 mesi dopo una ricerca estenuante sui libri, e la generazione che può stilare una tesi in un mese grazie a un universo di informazioni on-line, che azzera spazi e tempi.
C'è voluto poco a capire quale fosse il miracolo autentico dell'invenzione di internet e più che mai per lo sviluppo del sapere medico. Ero convinto persino che una cura per le distrofie muscolari efficace sarebbe stata appurata a ridosso della mia tesi, da quanto si dimostravano in progresso le ricerche su fronti sempre nuovi.
Poi ho capito che le redini della ricerca medica sono in mano come tutto alla finanza, e mi sono disilluso presto. Appurando che un conto è il progresso dell'informazione scientifica, un altro il progresso dell'etica umana. Gli scempi macchinati verso i vari metodi Di Bella o Stamina col senno di poi ne sono chiara dimostrazione. Per cui, purtroppo, all'entusiasmo della rete è susseguito lo sconforto agghiacciante dimostrato dalla vanità umana nel campo scientifico.
Ed ecco il motivo per cui ho coltivato poi negli anni sempre più i lati filosofici e politici della ricerca scientifica. Perchè tecnicamente, come categoria sanitaria,  abbiamo risorse stravolgenti e potentissime. Ma sono sotto il controllo di politiche infami e indecenti. Come ogni altro settore della società giacchè la politica è un braccio della finanza, e non più il contrario (e questo più che mai praticamente dagli omicidi Kennedy in poi).

Ero esageratamente grato al destino di essere caduto in una nuova generazione di studenti universitari. Ma ero anche consapevole che i miei interlocutori con cui mi sarei interfacciato, vuoi sul mio settore, vuoi in un ospedale per una diagnosi medica su di me, erano di tutt'altra generazione.
E infatti tenni per me la mia diagnosi sull' emicorea (basata su evidenze di sintomi patognomonici vissuti in prima persona) senza confidarla ai medici che avevo nel frattempo incontrato da maggio 2005 a gennaio 2006. Anche perchè quando un veterinario tenta di dimostrare qualcosa a un medico umano suonano tamburi di guerra al solo accenno (mentre si sa, quando avviene il contrario siamo rassegnati a dover sopportare diplomaticamente abusi di professione, anche di fronte alle inesattezze fantasiose più inverosimili).
A dire il vero una volta davanti a uno dei tanti neurologi (sapendo filo e per segno quali situazioni me le avessero causate) tentai un: "potrebbero essere emicoree dovute a bla bla bla?". Preferisco tenere per me reazioni e risposte di ritorno. Mi limito a dire che quell'occasione mi incoraggiò oltremodo ad approfondire seriamente il mondo delle medicine alternative su cui ero fino ad allora seriamente scettico.

A maggio 2005 dunque feci le prime TAC e RM che discriminarono alcune diagnosi differenziali. Poi nei mesi successivi altre indagini (giurando a me stesso che non avrei mai più sottoposto i miei occhi e le mie orecchie all'idiozia dei potenziali evocati...se non a fronte di torture più raccapriccianti). Infine a gennaio 2016 il test più delicato. L'esame del liquor.

Ora, l'esame in sè prevede ricovero in day hospital. Salvo complicazioni. E qui si arriva al dunque.
Quali complicazioni può dare questa puntura? Beh, si tratta di entrare con un ago non proprio piccolo di calibro e non proprio corto dentro "la schiena". Fino a sfiorare il midollo spinale. Quello che se viene lesionato, non lo recuperi più, e rimani paralizzato magari a una gamba o deficitario di qualche funzione organica. Questo è l'inconveniente che più si teme per fortuna comunque più unico che raro, pare. Io nel mentre della manovra (che dura una decina di secondi) sentii una forte scossa elettrica sulla schiena che mi fece sudare freddo (e pregare in lingue aliene). Capii che l'ago si era spinto troppo oltre e mi avevano "sfiorato". Per fortuna il professionista fu preparato e pronto, come si spera sempre, a retrarre l'ago il più istantaneamente possibile alla scossa causata.
Fatto è che la puntura finì, e sembrava essere scongiurato ogni pericolo. Sennonchè, cosa poco considerata perchè pare succeda raramente e solo nei soggetti giovani, ci può essere l'effetto collaterale anche di un liquido prelevato in eccesso...o magari troppo velocemente.

Il liquor cefalorachidiano non è proprio un liquido secondario nel nostro corpo. E' un liquido che circonda tutto il nostro sistema nervoso centrale, dalla testa all'osso sacro, e fa da cuscinetto meccanico agli organi vitali che circonda (cervello e midollo spinale) ed è sotto una certa pressione. Questo macroscopicamente. Poi microscopicamente è un mezzo di scambio metabolico tra i vari tessuti, ha caratteristiche biochimiche non proprio banali (non è semplice acqua fisiologica per intenderci) e la sua produzione e assorbimento non sono proprio fenomeni veloci e immediati.
Insomma prelevare questo liquido è uno stress immenso per il nostro sistema nervoso (quindi per tutto il corpo). Se ne esce troppo, o troppo velocemente, tutto il sistema nervoso centrale (e quindi tutto il corpo) reagisce in modo alquanto inconveniente. Molto inconveniente.

Non fu un day hospital, come da programma, il mio. Non uscii il giorno dopo ma la settimana dopo. Una settimana sotto flebo perchè vomitavo tutto quello che ingurgitavo dopo pochi minuti. Solido o liquido che fosse. Una settimana dove l'unica posizione a dare sollievo è quella stesa supini con la testa immobile. Perchè appena sposti la testa, anche ad occhi chiusi, senti il mondo girare in un senso e il corpo in un altro, in totale intorpidimento dei sensi. E senti una costrizione alla gola che viene da un riflesso nato da chissà quale nucleo encefalico stressato dalla poca pressione interna... e che genera quel sintomo, quel sintomo ben preciso. Quel sintomo che impari, in quella situazione, ad affrontare fino all'esaurimento psicofisico più totale. Fino a invocare il cielo di farla finita con quella incomprensibilmente atroce tortura. E preghi, letteralmente preghi, di morire.
Quel sintomo è la sensazione di avere un pugnale lungo e stretto appoggiato sul collo, con la punta che ti tocca la nuca. E appena sposti il collo, in qualsiasi direzione, senti quella lama penetrare. La senti proprio fisicamente. E penetra quel tanto che l'intero cervello (che percepisci in tutta la sua superficie appena sotto la tua calotta cranica) lo senti invaso da uno stimolo doloroso lancinante, acutissimo prima, e poi sempre più subdolo.
Questo è il sintomo che con tutta probabilità, fisiologicamente parlando, è causato dai ventricoli encefalici dopo una caduta di pressione del liquor che li riempie.
Avrò sofferto di mal di testa due volte in vita mia fino ad allora. Delle emicranie sapevo solo la definizione. Non so se si può limitare alla parola emicrania tutto il dolore che sentivo in quella situazione. Di sicuro non era solo un'emicrania quel riflesso doloroso che mi paralizzava l'intero corpo costringendolo all'immobilità, nel mentre che avvertivo la sensazione (sempre per via riflessa) di un oggetto contundente strozzarmi la gola fino ad indurmi il vomito.

Ebbene, quella situazione è durata per una settimana. Giorno e notte. Ricordo che in una settimana solo una notte ho dormito sei-sette ore di fila. Dopodiché fu tutta una lunga immobilità, svegliata da quel dolore e quei conati di vomito, non appena fisicamente crollavo con lo sforzo di costringermi volontariamente immobile, al fine di non percepire quel pugnale alla nuca. Costantemente lì. Per giorni interi. Quando ad occhi chiusi il dì diventa uguale alla notte.
I medici dicevano che era una situazione rara la mia. Che era questione di uno due giorni e avrei recuperato. Non so se minimizzarono per protocollo o per negligenza. Non lo voglio sapere. Non mi interessa. Però ci tengo a confidare che mi demoralizzò oltremodo facendomi andare in completa disgrazia quel minimo di fiducia che avevo nella classe medica, il fatto che dopo una puntura di tiocolcoside (oggi poco raccomandato per la tossicità) feci riferire a uno dei medici di turno che qualche ora dopo l'iniezione avevo sentito uscire del fuoco al posto di urina: non mi pareva una cosa normale... oltre a tutto il resto. Ebbero l'idea geniale di prelevarmi del sangue per testare se avessi fatto assunzione di qualche stupefacente. Ero lì per una sclerosi multipla, ero lì per una rachicentesi, ero ridotto a uno zombie, avevo pelle e deiezioni che sapevano da putrefazione dopo tre giorni che vomitavo e basta...e secondo loro quella mia condizione suggeriva che forse... avevo assunto droghe?!? Ecco questa fu un'umiliazione incommensurabile. Psicologicamente parlando. Perchè fisicamente ero già l'ombra di me stesso. Da sempre sono abituato agli sguardi sospettosi degli estranei quando mi incrociano e mi vedono con le occhiaie causate dall'anemia ferro priva che mi accompagna da quando avevo sei mesi di vita, marcate magari da arretrati di sonno dovuti allo studio, al lavoro, o a un hobby. Ma un medico... dovrebbe forse guardarti come un estraneo?
Non mi dilungo infine sul fatto che ritengo droghe anche il caffè e il tabacco...allora lo ammetto sì, evidentemente a volte mi drogo.

Ora non so se fu la notte del terzo o quarto giorno in quelle condizioni. Le mie preghiere che quella situazione definita provvisoria cessasse si trasformarono in invocazioni di morte. Letteralmente. E pregavo proprio come se Dio fosse il mio boia in carne ed ossa steso a fianco a me.
Lo percepivo lì a reggere il pugnale dietro il mio collo. E lo pregavo di spingerlo fino in fondo una volta per tutte.
Ma il "male di esistere" che mi fece invocare la morte come un cane, indegno di sentirmi un essere umano, era un ultimo desiderio. Il perdono, di esser lì ad invocare la morte, pur avendo l'esempio quotidiano di santi ed eroi come i miei nipoti, che allora avevano sei e dieci anni, e che stavano da anni sopportando una distrofia muscolare, allora già atrocemente conclamata clinicamente. Volevo morire, perché psicofisicamente non riuscivo più a sopportare quel dolore, e mi sentivo spiritualmente indegno di essere zio dei miei nipoti.

Questa situazione è durata per una settimana. Giorno e notte. Ed è andata via via affievolendosi dal quarto giorno in poi. Ma non è sparita in sei giorni. Mi hanno congedato, mi parve di intuire, perché era diventato un quadro clinico imbarazzante il mio. Succede spesso in medicina quando ci sono reazioni anomale ad indagini di routine. Per non far sospettare che ci siano responsabilità sui fatti imprevisti, si tratta il caso come se non ci fossero anomalie, e si congeda.
Dopo sei giorni io ero in grado di camminare per una decina di minuti, come un bradipo, e sempre dritto, cambiando direzione a scatti con tutto il corpo, a rallentatore, come un robot. Feci il viaggio di ritorno sul sedile completamente steso. Mi sentivo un alieno su un astronave.

Tornai in grado di guidare da solo dopo un mese circa dal congedo. Ricordo che fu proprio quella mia compagna con cui si era conclusa la lunga relazione un anno prima, e che mi dette in parte anche coraggiosa assistenza in quella "settimana all'inferno", ad accompagnarmi alle prime lezioni di balli caraibici che avevamo deciso di iniziare insieme. Era il 30 o il 31 gennaio 2006. E io ancora a metà febbraio alle lezioni mi fermavo durante gli esercizi di vuelta (piroette) perchè perdevo l'equilibrio e mi saliva nausea. Quanti ricordi. Il ballo latino fu la prima cosa che mi proposi di fare appena uscito dall'ospedale, tra le altre, prima di ritrovarmi "con maggiori probabilità rispetto a una persona normale" in carrozzina, o paralizzato, come mi avevano indicato i medici parlandomi della mia malattia. Quel tipo di balli mi affascinarono fin da quando, a nove anni, rimasi stregato dalla Lambada. E la ragazzina di quel video era nelle mie fantasie la bambina un anno più giovane di me che mi stregò alle scuole elementari, e che contemplavo come una principessa inarrivabile.
Fatalità, ci mise più di dieci anni ad arrivare infatti l'occasione in cui la rincontrai, a vent'anni, e iniziò quella relazione destinata a finire nel mentre mi sentii addosso la sclerosi multipla.



Termino così questa storia del mio vissuto. Potrei aprire mille parentesi da approfondire per mille altri post che riguardano la mia vita di relazione, la mia vita lavorativa, la mia vita spirituale, e quante altre vite? Tante vite ho vissuto in questa mia esistenza ormai giunta ad un giro di boa, se 35 anni sono ancora considerati quel bel mezzo del cammin. Molte esperienze mi hanno segnato. Ma posso dire che la Signora Nera che chiamiamo morte ha fatto un po' da guida lungo il tragitto. Ora vedendola in un cucciolo avvelenato da bambino, ora vedendola sul volto morto dei miei nonni poco più che ventenne, ora desiderandola che mi prendesse per mano su un letto di ospedale.

Che sfiga dunque? Niente affatto. Questa Signora, mi ha insegnato tutto. Persino a fare il veterinario. Persino a "ridefinire" la sclerosi multipla. Son dieci anni che attendo di scrivere queste cose. Mi sono imposto di mettermici solo quando sarebbero passati dieci anni, ossia il limite temporale entro il quale, in genere, possono ricomparire sintomi di una forma silente di sclerosi multipla. Dopodiché, pare, dovrebbe rimanere silente per il resto della vita.

Allora concludo con questa precisazione, che è lo scopo di questo post, questo post che sarà il testimone per tanti altri che dovrò scrivere, finalmente, sulle confidenze della mia malattia, della mia cura, della mia guarigione, se così si può definire (da omeopata, tutto è da ridefinire, anche malattia e guarigione).
Dopo quella diagnosi di sclerosi multipla, esegui solo controlli diagnostici di routine per monitorarne il decorso. Quindi molte risonanze, qualche esame del sangue, qualche test di apprendimento. Ma scelsi di non entrare in alcun protocollo sperimentale per nuovi farmaci, nè di usare terapie classiche (cortisone e interferone) per arginare i piccoli disturbi nel frattempo intercorsi (come ad esempio un formicolio alla mano destra che mi accompagnò altalenante per quasi tutto il 2005). Non ho preso alcun farmaco. Ma vi dirò di più. Dal 2008, anno in cui mi diplomai alla scuola di omeopatia, ho preso un solo antinfiammatorio di mia volontà, nel 2012, per un'infiammazione iperacuta in una zona scomoda da sopportare. Poi nulla più. Ho assunto antibiotici in occasioni che si contano su una mano, in concomitanza di piccoli interventi chirurgici superficiali. Non ho mai assunto farmaci in occasione di sindromi influenzali (le ho sempre curate con un paio di giorni di riposo assoluto costringendomi a letto). Non ho mai neppure assunto antidolorifici. Ho sempre voluto sopportare il dolore, finchè sopportabile. Neppure dopo un'operazione chirurgica ortopedica alla mano a fine 2014  (frattura articolare pluriframmentaria di un metacarpo ridotta con due viti e un mese di tutore) ho assunto farmaci extra a quelli indotti per l'intervento.
Miracoli dell'omeopatia? In parte, a volte, in alcune occasioni. Per la mia sclerosi multipla, ad esempio, mi illuminarono all'inverosimile le teorie del dottor Hamer. Nessun farmaco, semplicemente un libro. Scoperto per pura casualità.

Io non lo so se un giorno la mia sclerosi multipla ricomparirà impietosa. Così come non so cosa potrà succedermi per qualsiasi altra banale disgrazia già assegnatami dal destino. So solo che oggi mi separano dieci anni da quella settimana, e che la vita, con la sua Signora, mi ha insegnato molte cose.
E oggi la ringrazio, perchè posso permettermi di condividerle dicendo non "questo è quello che mi è successo in una occasione", bensì "questo è quello che ho vissuto per dieci anni".

Ed è un'emozione condividerle, ovviamente, ancora più grande di averle vissute.