mercoledì 19 ottobre 2016

Dio benedica la vaccinazione e ci salvi da chi la gestisce



"Bambini morti di pertosse e morbillo perchè non vaccinati". Ma sapere quanti e dove vivevano e in che condizioni? Neanche con le vaccinazioni per gli animali si è così approssimativi. 

Personalmente non ho nulla contro la vaccinazione in sé, anzi vaccinarsi è una opportunità enorme (anche omeopaticamente parlando a mio avviso, pur andando contro il pensiero omeopatico canonico).
Ma è chi produce, sponsorizza e vuole obbligare a iniettare vaccini che onestamente mi mette mille dubbi, perplessità, ansie, e diffidenze. In altre parole, c'è da fidarsi della vaccinazione in mano a una classe dirigente che da decenni distrugge l'ambiente, la prevenzione sanitaria e la previdenza sociale trasformandole in mere opportunità speculative?

Almeno chiarisse se questo quadro epidemiologico allarmante emerge inquadrando l'intero territorio nazionale alla stregua dei suoi sempre più allarmanti centri di accoglienza profughi. Ecco così un po' di fiduciosa considerazione (oltre a spontanei "vaffa") se li guadagnerebbero.



sabato 24 settembre 2016

Spese veterinarie in tessera sanitaria...a che costo?

24 settembre 2016

Anche le spese veterinarie rientreranno nel "sistema tessera sanitaria". Un balzello burocratico che peserà in termini di tempo ed energie ai professionisti da una parte. Dall'altra demotiverà ulteriormente a far visitare gli animali ai proprietari visto che le spese veterinarie annuali sono in genere relativamente molto esigue, e può essere vissuto fastidiosamente l'ulteriore "fiato sul collo" di un fisco già pesante e vessatorio, in questi tempi di continua e incessante crisi finanziaria per le famiglie italiane.

La riflessione urgente che vale la pena stimolare è la seguente. Sono sempre meno gli italiani che si sottopongono a cure mediche per se stessi anche per la mancanza di liquidità esito dell'austerità imposta dall'UE cui puntualmente obbediscono i governi italiani (altrettanto imposti dall'UE sull'orlo dell'incostituzionalità). Forse anche l'introduzione del "sistema tessera sanitaria" ha inciso su questa scelta di non curarsi?
Forse si vuole ottenere lo stesso effetto sulle cure veterinarie? Basta pensare che le spese veterinarie sono detraibili per un 19% ma solo se ammontano tra i 129€ e i 387€ annui (ricordiamo che per quasi tre quarti dei proprietari le spese annue sono sotto questa soglia).

"Così faremo passare la voglia di tenere un animale...". Questo denunciavo ufficialmente alla mia categoria professionale per contesti affini, già nel lontano 2009. Quando stoltamente tutti sorridevamo alla crisi ritenendola una passeggera opportunità da superare con opportuni investimenti...perché così suggeriva martellante la stampa di regime di quella medesima famigerata politica del debito.

Far passare la voglia alla gente di tenere un animale è un atteggiamento deprimente, immagine di una politica socio-economica fallimentare.
Certo poi, l'abbandono dei cani sarebbe un problema culturale? Allora quale istruzione può dare in merito, oltre a uno slogan, una classe dirigente che adotta queste politiche? 
Ecco, le domande sono molte davanti a tali situazioni desolanti. Vale la pena chiudere la riflessione tuttavia annunciando che una soluzione a tutto questo c'è, e sta lentamente emergendo.


lunedì 16 maggio 2016

L'incubo della cacca a un corso preparto

15 maggio 2016

Il percorso per arrivare a farsi un'idea di come realmente funziona la natura rispetto a come siamo stati educati fin dalla nascita a immaginarla funzionare per impostazione scolastica o religiosa, per me è stato un percorso lungo e lento. Guardandomi alle spalle posso vedere che c'è stato un bivio a un certo punto, con una sosta in una sorta di terra di mezzo. I miei primi vent'anni sono stati segnati dalla bellezza profonda dello sport, dell'arte e della spiritualità religiosa. Tra l'altro posso persino dire che gli studi "scientifici" del liceo non cozzarono con le percezioni (un po' idilliache) che avevo allora della realtà, e anzi le rafforzarono. Quello che il liceo mi mise in crisi se mai fu la fiducia sulle relazioni umane. Uscendo da un'esperienza di gruppo stupenda in classe alle scuole medie, mi aspettavo che il liceo sarebbe stato da questo punto di vista qualcosa di ancora più appagante (vuoi per come avevo idealizzato le esperienze delle mie sorelle più grandi, vuoi per il rincoglionimento televisivo dei telefilm di allora). Non fu così invece. Per molteplici aspetti che porterebbe fuori tema ora approfondire.

Mi preme solo sottolineare che quella, comunque, si sa, è l'adolescenza, ed è un'età in cui da ragazzi si diventa adulti. Ora, guardandomi indietro con un certo bagaglio, posso dire che avviene una specie di sortilegio malefico nella nostra società, quel sortilegio che fa percepire l'età più metamorfica e mistica dell'esistenza come un'età complicata, contorta, destabilizzante, incontrollabile.
Nell'adolescenza, nel mentre si sta spontaneamente scoprendo proprio come funziona la natura, la società con la sua educazione scolastica e religiosa fa venire a conoscenza di come funziona il mondo
E ci è fatto intendere così che i termini natura e società sono sinonimi proprio passando per il concetto di mondo. Inganno stratosferico questo, cui rimando in altri approfondimenti.

Fatto è che la sosta davanti a un bivio nel mio percorso non fu il liceo, nonostante le sue "crisi", ma l'università. La colonna portante della mia vita (la bellezza dello sport, dell'arte, della religione) venne messa a dura prova di sopravvivenza davanti a malattie imponenti, ossia come già accennato la distrofia muscolare (esattamente all'inizio dell'università) e la sclerosi multipla (esattamente sul finire).
Certo quel bivio in sé si può considerare una tappa normale e naturale dell'essere umano sul finire dell'adolescenza (ecco perché mi premeva soffermarmi sopra) quando appunto la razionalità comincia a cercare e trovare un significato proprio della realtà che si vive, interiormente e nella relazione con gli altri e l'ambiente.
Quel bivio è fondamentalmente una presa di posizione davanti alla vita quando si scopre che a fianco della religione c'è anche una scienza, che sopra il cuore c'è sempre una mente, e che oltre alla pura passionalità con cui si vive l'infanzia occorre sviluppare una razionalità per diventare davvero grandi. 

Ora quel bivio è verosimilmente una fase spontanea attraverso la quale l'essere umano non dovrebbe avere nemmeno la percezione di transitare, se vivessimo in una società normale.
Purtroppo invece già dalla mia generazione l'Umanità è caduta dentro un sistema nuovo dove infanzia, adolescenza, e bivio, sono stravolti nella loro naturale maturazione dall'informazione radiotelevisiva. Questo non è mai successo prima nella Storia.



Infanzia, adolescenza, e bivio, sono teleguidati a maturare in una certa direzione, ben precisa al fine consumistico (ossia finanziario). Non c'è alcuno spazio né tempo per far maturare, qualsiasi sia l'inclinazione individuale, una integrazione di passionalità e razionalità al fine di trasformare persone libere (come i bambini) in cittadini liberi (come dovrebbero essere gli adulti).

Se non fosse stato per il trauma di queste malattie forse di quel bivio non me ne sarei neppure accorto. Avrei frequentato l'università con l'unico scopo verso cui teleguida la società: ottenere un pezzo di carta per il prestigio sociale di uno stipendio superiore alla classe media (la dicitura in voga 15-20 anni fa era tipo "prendere molti soldi", ma la moneta unica europea ha insegnato molto bene che il denaro non è un fattore assoluto, non esistono "molti soldi", esiste "averne più o meno degli altri" per cui è un fattore relativo).
Se non fosse stato per quelle malattie non avrei mai sostato per cinque anni davanti a quel bivio. Ho impiegato tutti gli anni universitari per studiare sodo molte materie di tante discipline, lontane dalla sfera del mio pezzo di carta. Mi entusiasmarono oltremodo la medicina dei mammiferi meditata a fianco di saggistica sulle religioni (dalle monoteistiche come l'ebraismo, il cristianesimo, l'islam, alle filosofiche come il confucianesimo, l'induismo, il buddismo) o approfondimenti di riviste scientifiche sulla filologia e la robotica.
Quando poi comparve Google e successivamente Youtube, tutto divenne ancora più travolgente e affascinante.

Non ho trovato soluzioni pratiche per alcuna distrofia o sclerosi, ma mi sono reso conto poco per volta di come funziona la natura. E a un certo punto quel bivio che con gli anni diventò quasi un'ossessione, non c'era più.

Era svanito ogni bivio tra mente e cuore, tra passionalità e razionalità. La bellezza dell'arte e dello sport erano diventate tutt'uno con la bellezza della religione e della scienza. Mi sono riscoperto pregare con lo stesso fervore di quando ero bimbo prima di addormentarmi ad esempio compiendo una corsa o impastando del pane. A me che era sempre sembrato ridicolo l'atteggiamento di quanti pregano a memoria prima di mangiare per poi abbuffarsi o sprecare il cibo sul piatto, senza rendermene conto mi sono ritrovato a compiere l'atto del masticare, quotidianamente, pregando. Ma questo non è derivato da un rituale auto-imposto, bensì dalla consapevolezza di quale miracolo sia in termini fisiologici la masticazione, e la fortuna di poter avere in bocca del cibo sano. Ma a sua volta questa consapevolezza non è derivata dall'aver vissuto in guerra o carestia, ma dallo studio di cosa significa realmente la fisiologia della masticazione e cosa significa realmente il cibo sano (nei limiti ovviamente del nostro sapere scientifico).

Insomma a partire dalla fine dell'università mi sono riscoperto prendere la vita da "extraterrestre", più che mai quando abbracciai poi l'approccio clinico di discipline mediche olistiche come l'omeopatia e la nuova medicina germanica. Tanto che mi ritrovai neolaureato, single, e quasi consapevole che con la mia visione sul mondo, nonché su salute e malattia, sarei stato destinato a un futuro non proprio roseo nella società della speculazione finanziaria.

Poco dopo aver concluso un corso triennale in medicina omeopatica veterinaria dopo la laurea, sulla cui tesi riversai di getto tutto questo mio bagaglio scientifico-spirituale accumulato fino a quel momento, la finanza mondiale crollò. Arrivò la crisi del 2008, ed ebbi la percezione che forse essere disadattati a un sistema socioeconomico fallimentare e fallito non è proprio un male. Non rappresentava certo un'opportunità, ma almeno non era un male. Internet e il social network da allora (facebook comparve proprio nel 2008 in Italia) a mio avviso poi hanno fatto la differenza, ne sono sempre stato convinto. Pare infatti che gli extraterrestri come me abbiano trovato in internet un canale di espressione, un punto di ritrovo. Piano piano è emersa una comunità di idee, una nuova coscienza collettiva. Basta pensare a come la gente ha evoluto la sua partecipazione sempre su facebook dal 2008 ad oggi. Anche la nascita di un movimento politico dal blog di un comune cittadino subito approdato nelle più alte istituzioni italiane ed europee, a mio modesto parere, rientra in questo nuovo miracoloso processo sociale di intelligenza collettiva di più alto livello favorito da internet.

Ora, furono rivoluzionari gli anni di sosta a quel bivio che mi trasformarono in extraterrestre (in realtà sapere come funziona la natura ti rende terrestre d.o.c, ed è la società dell'economia della finanza ad alienare dal Pianeta Terra che ormai è un mondo alla rovescia rispetto alla società).
Ma la rivoluzione di questi anni lentamente mi convinse di non esser destinato a metter su famiglia; un po' per paura della malattia, un po' per paura della politica che con le sue leggi finanziarie ha distrutto appunto l'ambiente, la sanità, il lavoro, e la relazioni famigliari stesse.

Figuriamoci quale altra rivoluzione sia stata ritrovarmi oggi con la mia compagna ad un corso pre-parto del sistema sanitario nazionale, dove si incontrano pediatri, ginecologi e ostetriche che riconoscono il fallimento di determinati approcci medici degli ultimi trentanni, e dimostrano di abbracciare visceralmente mentalità olistiche!

Stupore a non finire. Quasi mi pare di sognare. Io che in dieci anni di professione altro non ho fatto che ingoiare imbarazzo e angoscia confrontandomi con proprietari di animali, con amici, parenti e colleghi, accennando alle meravigliose interpretazioni della salute, della malattia, della guarigione, della morte, insomma della realtà intera da parte delle medicine alternative... ebbene io ora posso confrontarmi con personale medico che sta seguendo la gestazione di mia figlia, e sentirmi insieme a loro nelle mie rivoluzionarie convinzioni sereno, rincuorato, protetto?

Mi pare di sognare. Mi è parso di sognare in particolare all'incontro con un'ostetrica. Una energia spirituale purissima nel raccontare alcuni disastri classici della medicina tradizionale in ambito ostetrico, o nel descrivere come funziona la dinamica del parto in natura per affrontarlo al meglio. Una energia così dirompente che a un corso pre-parto può far cadere la pressione ai papà più sensibili, come realmente può avvenire in sala parto.
I suoi tanti riferimenti al mondo animale o alla natura dei mammiferi cui apparteniamo mi hanno colmato di gioia. "Pensate alle vostre gatte, pensate alle vostre cagnoline: non fanno alcun corso, non leggono alcun libro... eppure partoriscono con estrema naturalezza!". Questa la frase che più è ricorsa, di una semplicità estrema, eppure efficacissima per capire come tanto (dire tutto forse è estremo) sia stato nei decenni tremendamente complicato in ambiente ospedaliero in merito al parto, e non solo. 
Questa frase mi ha colmato di gioia anche perché è quello che ho sempre ripetuto alla mia compagna nei primi mesi di gravidanza, quando è tipico che emergano paure premature sul momento del parto. 
Ma un conto è sentirlo dire da un veterinario, un altro da un'ostetrica.

A questo punto ho a cuore una digressione prendendo spunto da una possibile situazione di disagio per le partorienti e affrontata al corso. Ossia la fuoriuscita di feci o urina durante le contrazioni in fase espulsiva.
Torniamo un attimo alla cinematografia. Tralasciamo che immaginiamo le star del cinema come esseri soprannaturali (altro che extraterrestri) immuni dal produrre escrementi come fanno tutti i comuni mortali (a proposito di ignoranza collettiva su come realmente funziona la natura). Ebbene qual'è la posizione classica fatta assumere in sala parto? Ovviamente mostrata e rimostrata negli ultimi 50 anni di cinematografia per cui ci è impensabile che il parto possa avvenire in una posizione diversa?




La posizione classica fatta assumere per partorire è quella più contro natura possibile immaginabile, perché va contro la cosa più semplice quanto importante per agevolare la fuoriuscita del feto, ossia la forza gravità.
Le posizioni per favorire realmente il parto sono queste sotto: le avete mai viste in un set cinematografico?




Poiché non le ha mai viste in un film, il senso comune occidentale di una generazione nata con l'imprinting cinematografico forse le reputerà ridicole, assurde, imbarazzanti. 
Invece la generazione dei nostri nonni (quelli nati prima del boom economico per intenderci) magari non le troverà affatto ridicole, essendo nati in casa senza parto indotto da protocollo (per evitare perdite di tempo nell'epoca del tempo-denaro; senza nulla togliere comunque a quei casi in cui l'ospedalizzazione è effettivamente necessaria, ma che non è la norma in natura).

Parlare di posizioni corrette ci fa ritornare dunque alla defecazione. Ed è una fatalità che ora scopro questa foto proprio nel sito di un'ostetrica:

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Era il 2003 circa quando studiando fisiologia dell'apparato digerente, in biblioteca universitaria mi imbattei in un testo di fisiologia umana dove trovai descritto il meccanismo dell'effetto torchio (questa è il termine tecnico) che si innesca durante la defecazione nei primati. Questo effetto si attua solo ed esclusivamente accovacciati "alla turca", quando la pressione delle cosce sul ventre e la dilatazione intrapelvica favoriscono le torsioni fisiologiche dell'ampolla rettale per consentire l'evacuazione.

La posizione sul water risulta invece assolutamente innaturale e controproducente. Non solo per la defecazione che viene impedita provocando stipsi, ma anche per una serie di effetti collaterali che compromettono altri organi, in primis la vascolarizzazione del plesso emorroidale (le emorroidi). A mio avviso questa posizione nel maschio è deleteria sul lungo periodo anche per la prostata, a causa di pressioni anomale causate dalle spinte dentro un imbuto artificiale creato dalla tavoletta del water su cui sprofondano le anche.

Altra supposizione personale è che l'accovacciarsi quotidiano possa essere garanzia di una ginnastica giornaliera delle anche stesse, le quali difficilmente si ritroverebbero anchilosate in tarda età. Questa sarebbe la spiegazione per cui gli over-cinquantenni moderni (prima generazione cresciuta col water) si ritrovano quasi categoricamente in bisogno di interventi di protesi all'anca rispetto alla generazione precedente, che non ha conosciuto il water e ha compiuto vita natural durante quella ginnastica.

Insomma è dal lontano 2003 che davanti alle turche incontrandole nei locali pubblici mi viene da commuovermi (anche questo potrebbe essere un aspetto extraterrestre della mia religiosità scientifica).
Tra l'altro pare che fosse già allora in previsione in Unione Europea una legge che imponeva l'installazione di turche nei nuovi locali pubblici, appunto per gli evidenti aspetti igienico-sanitario favorevoli. Poi onestamente non ho più avuto notizie a riguardo (leggenda metropolitana?). Ma non ci sarebbe da stupirsi che abbia avuto la meglio qualche lobby farmaceutica (non certo dei produttori di water) visto il business milionario che gira attorno agli interventi medico-chirurgici per stipsi, emorroidi, disturbi prostatici, e protesi all'anca.
Avrei altre riflessioni importanti in merito che toccano il contorto e delicato problema dell'anoressia, ma vi dedicherò un post a parte perché richiede profonda disamina e qui abbiamo già messo tanta carne al fuoco.

"Pensa" mi disse l'ostetrica alla fine del seminario scambiando due chiacchiere "tutto è partito da ragazzina. Volevo fare la veterinaria, amavo gli animali e trovavo così affascinante veder nascere gattini, cagnolini, o i vitelli nella stalla dei vicini. Poi ho preso questa strada più specifica, ma ancora oggi penso che gli animali abbiano tutto da insegnarci. Alle pazienti impaurite ancora oggi dico: hai mai visto l'uovo di una piccola canarina? come possono far passare un uovo di lì! Se ci riescono loro come possiamo pensare di non riuscirci noi?".

Eh già. Proprio così. E pensare che anche i mammiferi provengono proprio da lì: un uovo. Chissà quanti milioni di anni ci metteremo ora a rompere il guscio radiotelevisivo.


mercoledì 27 aprile 2016

Veterinario "per" mio nonno

27 aprile 2016

Cento anni fa, il 27 aprile del 1916, nasceva mio nonno. Cosa può centrare mio nonno con VeterinariaMente? Beh lui con la sua pensione ha contribuito tantissimo alla mia laurea. E a valutare tutto il contributo umano che lui (a fianco di mia nonna) ha rappresentato per la mia crescita come persona, vi assicuro che è un orgoglio immenso dirmi "è anche grazie alla sua pensione che mi sono laureato".

Mi stimola una marea di riflessioni pensare che viviamo in un momento storico in cui le pensioni dei nonni non servono più a pagare l'università ai nipoti, ma a comprare loro beni di prima di necessità. Per non dire che oggi i corsi universitari sono tutt'altro che una garanzia lavorativa. Quando ho frequentato l'università io (1999-2005) già c'era il sentore che quell'investimento fosse una farsa illusoria a fronte della richiesta del mercato del lavoro (e parlo un pò di tutti i settori delle libere professioni).
Ad ogni modo non è una percezione, ma un dato di fatto, constatare che a distanza di dieci anni il sistema università-mondo del lavoro e il sistema reddito-contribuzione-pensioni hanno tutte le caratteristiche di una perfetta macchina finalizzata alla speculazione finanziaria (i contributi minimi negli ultimi cinque anni sono cresciuti del 30%, tralascio le variazione in proporzione dell'età pensionabile e delle pensioni stesse, per non parlare del patrimonio mobile e immobile dei vari enti coinvolti). Questo dato di fatto lascia molto amaro in bocca.

E pensare che mio nonno era al settimo cielo quando mi sono laureato. Lui, nato nel bel mezzo di una guerra mondiale, fortunato di aver appreso a leggere e scrivere pur dovendo accudire altri quattro fratellini insieme alla madre, esaurita psicofisicamente dopo esser stata abbandonata dal marito. Figuriamoci per mio nonno vedere l'unico nipote laureato.

Ma vi faccio una confessione (che approfondirò in altri post): tra il terzo e il quarto anno, pur essendo bene o male in ordine con gli esami, ero davvero convinto di abbandonare tutto. Aldilà della farsa illusoria sulle prospettive di lavoro abbastanza facilmente prevedibile (bastava confrontarsi con qualche realtà ambulatoriale per comprenderlo) quello che ritenni un po' più preoccupante era prendere consapevolezza che si stava dipanando un'altra farsa, ben più agghiacciante.

Detto in modo estremamente sintetico e generalizzato, intendo cioè la farsa del business sulla salute/malattia degli animali da affezione. Quella che spazia dalla speculazione sulla selezione genetica delle razze, alla speculazione sugli accanimenti diagnostici e terapeutici. Notando, cosa ancora più triste, che questo era uno scimmiottamento in medicina veterinaria della medicina umana. Ma non è finita qui. Cresciuto in una famiglia di produttori/commercianti di generi alimentari di origine animale, perfino il sacro (per me) mondo della sanità pubblica (incaricata del controllo igienico-sanitario degli alimenti) mi stava apparendo per molti aspetti un enorme cantiere di sofisticazioni burocratiche con finalità sempre più lontane dal loro senso di esistere: la salvaguardia della salute pubblica.

Mio nonno mi raccontava di aver iniziato a vendere i limoni da fanciullo. "Cinque limoni una lira" era l'aneddoto che riportava, facendo notare come tutto col tempo fosse cambiato sul valore delle merci....e del denaro. Poi la guerra. Al fronte sui Balcani. Le fughe dopo l'armistizio. Una pallottola alla bolla timpanica di sinistra che lo rese quasi sordo per il resto della vita. Infortunio che mi feci raccontare nei minimi dettagli tante volte. Avrei voluto sapere molte cose di ciò che aveva vissuto, ma io ero troppo giovane per certi racconti o forse certe cose non me le avrebbe dette mai a prescindere, da quanto erano sofferenti prima di tutto per lui che lacrimava solo a pensarle, con lo sguardo immobile.
Ricordo però che un giorno pianse non per ore ma per giorni, quando una telefonata lo avvisò che era venuto a mancare "un suo migliore amico". E in quei giorni mi raccontò di quando in guerra stringendo la mano di un altro amico moribondo, gli straziò il cuore l'ultimo desiderio espresso in un'unica frase "...digli a mia madre che le voglio bene! digli a mia madre che le voglio bene!".

Mio nonno che partì con i limoni prima della guerra, dopo la guerra insieme a mia nonna (e due figli) un pò alla volta riusci a diventare un commerciante di generi alimentari di tutto rispetto. E non a caso mio nonno fu anche un ciclista di tutto rispetto fino agli ultimi anni della sua vita: trasportava da giovane partite di pesce in bicicletta, su e giù per i Colli Berici o Euganei. Finì la sua carriera di lavoratore a quasi ottant'anni quando ormai era mezzo cieco, quasi del tutto sordo, e a malapena si reggeva in piedi (dopo l'ennesimo incidente in bicicletta). Ma il suo impero era a casa. Perché in qualche decennio lui era riuscito, come tutti gli italiani dopo la guerra lasciati liberi di costruire, a trasformare la sua bicicletta in celle frigo, magazzini e automarket.

Tuttavia questa magia non so se gli sarebbe stata possibile se ai suoi tempi la regolamentazione sanitaria e fiscale fosse stata così complicata come quella che stavo studiando all'università.

Ora però non voglio essere frainteso. Non voglio assolutamente puntare il dito in modo qualunquista su un settore importante della sanità posto a garanzia della salute e del benessere collettivo. Solo mi sento di affermare, in scienza e coscienza sulla base del mio percorso formativo e del mio back-ground famigliare, che la società si è talmente sofisticata sugli stili di vita, compresa la nutrizione e l'alimentazione, che il controllo di produzione, uso e consumo degli alimenti sono divenute lentamente discipline plasmate su misura dei grossi circuiti di produzione, distribuzione e consumo, di fronte alle quali la piccola impresa o il piccolo produttore/distributore, si sono trovati inadatti, penalizzati e infine schiacciati.

Non ero sereno affatto da studente a rendermi conto di queste cose. Cioè praticamente la mia professione, se mai avessi scelto la strada della sanità pubblica (ossia l'unica rimasta con stipendio decoroso garantito a fronte di tanto studio e responsabilità) sarebbe stata un ingranaggio anonimo di quel gigantesco palcoscenico a servizio, per via diretta o indiretta, delle multinazionali? quelle che un po' alla volta stavano per disintegrare quelle stesse realtà che avevano permesso di farmi crescere, e studiare? Ecco, questo bastava a mandarmi in tilt. Se poi aggiungevo la frustrazione che sentivo a dover imparare metodi di gestione del paziente in cui non si capiva più se era più umano l'animale o il proprietario (vedi la differenza di trattamento tra un animale da reddito - praticamente un numero- o un animale da affezione -praticamente una parte del corpo del proprietario-) andavo di matto. Almeno poi nel mio percorso di studi fosse stato previsto un approfondimento in materia di etica scientifica o etica professionale... neppure quello.

Come se non bastasse, verso il terzo-quarto anno accademico, a queste angosce si sommava la profonda pena che emergeva dallo studio della patologia generale, dell'anatomia patologica, della patogenesi cellulare. Realizzavo quindi che per quanto fossero sempre più dettagliate le scoperte in ambito di malattie genetiche (ossia le distrofie muscolari dei miei nipoti) poco lasciavano intendere che ci fosse da parte del mondo accademico-sperimentale un serio e vero impegno a conseguire una cura pratica di quelle malattie, nonostante nei rotocalchi già a fine anni novanta comparivano articoli scoop sui miracoli delle staminali. Di nuovo allora, anche qui, percepivo sempre più l'ombra di una ennesima farsa. Quello di un mondo della ricerca scientifica diretta più alla referenzialità blasonata fine a se stessa che alla missione disinteressata di curare per far guarire. Di nuovo insomma il business finanziario prima e sopra tutto, a dirigere il traffico di fondi, sotto molteplici forme, dal farmaco alla protesi, dagli organi alle pubblicazioni scientifiche.
La pena dunque, sotto ogni punto di vista, da quello psichico a quello fisico, da quello intellettuale a quello spirituale, fu rendersi conto che in fondo in fondo, in ambiente medico preservare la salute non crea lo stesso business del mantenere la malattia. E la prima strategia emergeva sulla seconda ovviamente perché tutto il sistema socio-politico era fondato sulla prima.

Giuro, avrei mollato tutto prima di iniziare lo studio delle cliniche e della terapeutica del quarto-quinto anno. Tanto sarebbe stato solo approfondire (temevo) un'ulteriore farsa.
Ma come potevo dare un dispiacere del genere a casa? Come potevo sputare sopra la pensione di mio nonno, con tutto il sacrificio che essa rappresentava? Come potevo non portare a termine una gratificazione grande come una laurea alla mia famiglia, in primis a mio nonno (tra l'altro straziato dall'improvvisa scomparsa di mia nonna) dopo tutto quello che avevano investito su di me e dopo i risultati dei prime tre anni?

Insomma, è grazie a mio nonno che mi sono laureato. Per tanti aspetti. Mi sono laureato grazie a lui, ma anche "per" lui in senso vero e proprio (non nel senso proprio però dato da mia nonna che si divertiva sempre incoraggiandomi a laurearmi in fretta "così poi curi quell'asino di tuo nonno!").

Tuttavia non avrei sopportato tante "farse" esclusivamente in nome dell'amore e il rispetto per la mia famiglia e mio nonno in particolare. Lo posso dire con certezza: non avrei retto. A darmi un enorme supporto morale e intellettuale che mi permise di guardare avanti con la speranza che la medicina potesse essere anche altro, e così la clinica e la terapia, nonché la sacra sanità pubblica, fu un professore che col senno di poi posso ritenere un angelo mandato dal cielo. Un professore incaricato di una cattedra affascinante per me all'ennesima potenza, per quanto mi suonasse ostica per tanti pregiudizi personali (la legislazione veterinaria).

Questo professore era più o meno coetaneo di mio nonno. Anche lui reduce di guerra. Anche lui con uno sguardo profondo e un carattere tanto forte quanto sensibile. Questo professore mi illuminò involontariamente su una strada che si aprì proprio negli ultimi anni di università nel mentre cercavo di comprendere l'evoluzione-involuzione della medicina tradizionale, e quella strada dopo la laurea mi avrebbe condotto a prendere consapevolezza di dinamiche e meccanismi straordinari in merito ai processi patologici e di guarigione interpretati dalle medicine alternative, esattamente sulla scia perduta di una determinata medicina tradizionale "evolutiva", di cui quel professore fu uno degli ultimi testimoni viventi del secolo scorso.

Mio nonno mancò pochi mesi dopo la mia laurea. Ringraziai il cielo di non avermelo portato via prima per quanto avesse sofferto nei suoi ultimi mesi. Mentre non molto dopo venni a sapere che se n'era andato anche quel mio professore quando tentai di ricontattarlo. E ancora soffro del fatto che il cielo "quest'altro nonno" davvero me lo portò via invece troppo presto.

Ad ogni modo, il centenario della nascita di mio nonno cade nell'anno di un'altra nascita. Il prossimo giugno è programmata la nascita di mia figlia. E io per la vita non sono che un ponte tra mio nonno e lei.
Nasce anche lei, come lui, nel bel mezzo di una guerra di cui però non siamo consapevoli da quanto ormai è camuffata dalle varie farse sul lavoro e sulla salute. Anche lei dovrà convivere con una dittatura, anche se molto più subdola e sofisticata di quella di cento anni fa, perché poggia sull'arma denaro.
Si chiamerà Anna Lucia mia figlia, come ha proposto la mamma sentendoselo suggerire da qualche voce nell'aria poco prima che si sapesse della gravidanza. Anna Lucia significa "grazia", significa "luce". Davvero spero sia forte come il suo bisnonno. Chissà che insieme continuino a gettare grazia e luce a questa umanità bisognosa oltremodo di aprire gli occhi.

A proposito, mio nonno si chiamava come me. Buon centenario nonno Toni!

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venerdì 11 marzo 2016

Batteri, vaccini, e cacca...tra lo sporco e il tossico


11 marzo 2016


Questa sera avrò il piacere di frequentare un seminario sulla microbiologia veterinaria, dal titolo molto accattivante:

Il mondo dei batteri: buoni e cattivi – conoscerli e rispettarli, a partire da un uso prudente degli antibiotici


La riflessione che mi preme oltremodo fare ora in questo blog, riguarda il modo in cui è evoluta la percezione della batteriologia da parte del mondo scientifico, accademico, e di riflesso del senso comune, dalle sue origini alla contemporaneità.

Ovviamente non ho intenzione di fare un copia incolla di collage tra testi universitari e wikipedia. Ma esprimere puramente mie personali osservazioni, basandomi sui fatti storici dal mio punto di vista.

Sono passati poco più di 300 anni da quando alcuni sperimentatori hanno osservato esistere forme di vita microscopiche unicellulari, protozoi (animali unicellulari) e batteri, e quindi entità ancora più piccole con un metabolismo cellulare "parassitario", i virus.
In brevissimo tempo, in appena 100 anni (quindi 200 anni fa), da quelle osservazioni sono scaturite conoscenze formidabili non solo sulle caratteristiche di questi microrganismi, ma anche sulla loro interazione con animali e uomo (malattie infettive). Tanto che già duecento anni fa, quando le condizioni igieniche delle popolazioni europee in media erano molto precarie, si riuscì ad allestire stratagemmi per far sì che microrganismi e corpo animale (uomo compreso) entrassero in equilibrio senza creare lo scompiglio della malattia infettiva. Si idearono cioè strategie di prevenzione (igiene) e profilassi (vaccinazione).

Il solo gesto di lavarsi le mani tra una paziente e l'altra da parte dei chirurghi ostetrici, fece crollare l'incidenza di malattie e mortalità nei nascituri in modo strabiliante. Figuriamoci aver introdotto di pari passo la disinfezione (pastorizzazione, appertizzazione, sterilizzazione...) con metodi fisici di strumentari chirurgici e altri supporti.

E che dire delle vaccinazioni? Ci sarebbe da parlare per ore. Certo l'entusiasmo di questa pratica rivoluzionaria scaturita dall'osservazione che persone cronicamente a contatto con un battere non si ammalavano di quel battere (vedi la storia del vaiolo) portò a credere che presto tutte le malattie infettive avrebbero potuto essere tenute sotto controllo, se non addirittura eradicate (come il vaiolo).

Fu una scoperta così straordinaria per il benessere e la salute della collettività, che, pare, le istituzioni ecclesiastiche (allora ancora autorità scientifiche oltre che religiose) non videro con ottimismo questa pratica. Forse perché tutto ciò che previene ed elimina la malattia... è un ostacolo alla disperazione e alla beneficienza?

Fonte non documentata




Da duecento anni a questa parte dunque, dopo queste scoperte, la società umana ha avuto un'importantissima opportunità. Quella di realizzare un benessere collettivo, dal punto di vista della salute, con pratiche semplicissime ed elementari.

Invece cosa è successo? Dal secondo dopoguerra, appena dopo altri cento anni (1850-1950) di guerre e rivoluzioni per veder garantiti libertà di pensiero e diritti civili, quando la comunità scientifica ha cominciato a camminare autorevolmente con le proprie gambe e quella religiosa a proseguire per la propria strada senza bollare ogni respiro umano, la società umana è transitata lentamente nell'era dell'economia finanziaria. La quale ha inghiottito (con le sue corporazioni) scienza, religione, e ogni sfera della salute psico-fisica della salute animale ed umana, nonché della salute dell'ambiente.

A fianco dei grandi risultati derivanti da semplici ed elementari pratiche di prevenzione e profilassi, si sono innescati disastri umanitari e ambientali di cui oggi viviamo appena un assaggio, a valutare da quello che si è riusciti a nascondere sotto il tappeto in nome non del progresso in sè, ma del progresso finalizzato al reddito finanziario.
Insomma tornando in tema, siamo riusciti negli ultimi ottant'anni (a partire quindi dal 1950) a trasformare la vaccinazione in una pratica patologica invece che profilattica; a trasformare l'affascinante mondo dei batteri in una psicosi collettiva oltre che in un bersaglio mobile sotto continuo attacco con ripercussioni catastrofiche per gli ecosistemi (vedi la resistenza batterica); a trasformare l'igiene stessa in una pratica quotidiana che predispone a malattie croniche degenerative e autoimmuni (dermatiti, psoriasi, asma, allergie...) e quindi indirettamente alle infezioni stesse.

Il corso di microbiologia veterinaria al secondo anno di università fu qualcosa che mi sconvolse. Certo le dinamiche dei sistemi immunitari sono un universo affascinante all'ennesima potenza, sotto aspetti biologici ma anche etici e persino filosofici. Ma in particolare mi scioccò una frase di poche parole da qualche parte sui testi, che recitava tipo "un centimetro cubo di aria ospita comunemente migliaia di batteri".
Rendersi conto che ogni nostra cellula respira grazie a dei batteri ancestrali inglobati miliardi di anni fa, è una cosa. Ma rendersi conto che ogni istante della nostra vita siamo in continuo scambio di informazioni con l'ambiente esterno, in un mare di batteri insieme ai quali l'evoluzione mutualistica non è mai cessata e mai cesserà, è un'altra.
E' il punto di partenza per capire quanto pericolosi siamo noi, esseri umani, con in mano conoscenze tecniche super sofisticate, ma incuranti di principi naturali alla base che permetterebbero un uso di queste tecniche sano, etico, evolutivo, e scevro da ogni logica pervertitamente distruttiva della finanza.

Mi sono spesso chiesto da ragazzino, imbattendomi in funerali di amici o parenti, come mai anche le casalinghe possono arrivare ad ammalarsi di tumore. Poi imparando a fare le pulizie casalinghe a fondo, da studente universitario, e venendo a contatto con i vapori di prodotti anticalcare sintetici, ho capito che a domande del genere forse non occorrono lunghi dottorati di ricerca.
E pensare che per un'ottima disinfezione, per una perfetta pulizia (anche contro il calcare), anche per una pratica sterilizzazione (concetto molto discutibile, visto quello che c'è in un cm cubo di aria) basterebbero poche sostanze usate in modo opportuno. Acido acetico (aceto), cloruro di sodio (sale da cucina), ipoclorito (candeggina), bicarbonato, perossido di idrogeno (acqua ossigenata)...ammoniaca in certi casi specifici... basterebbero già questi più o meno associati all'acqua bollente per risolvere ogni problema di famigerato pubblicitario sporco imbattibile. 
Purtroppo non possono bastare invece. Perchè sono sostanze naturali, o abbastanza semplici da produrre e smaltire. E questo non crea business, come fanno invece le sostanze complesse da sintetizzare, difficili da manipolare, pericolose da smaltire, complicate da bonificare... perchè questi meccanismi mettono in moto lavori specialistici e burocrazie, autorizzazioni e vincoli, terrorismi e malattie. Insomma il senso di esistere dell'economia della finanza


Nella nostra quotidianità siamo ormai abituati a usare contro parassiti fastidiosi ma relativamente innocui come le zanzare, repellenti sintetici il cui impatto ambientale e per la salute sono stratosferici. Pensiamo a cosa ecologicamente comporta produrli e smaltirli? pensiamo a cosa immettono essi stessi nell'ambiente? pensiamo a dove finiscono nel nostro corpo una volta respirati o assorbiti? Assolutamente no. Perchè sono in simpatiche confezioni colorate, alla televisione ne parlano bene, e sono magari pure profumati.

Siamo stati addestrati ad essere terrorizzati dal concetto di sporco, mentre siamo completamente indifferenti al concetto di tossico. E mentre lo sporco è qualcosa di estremamente naturale e monitorabile con buone prassi igieniche, il tossico è estremamente subdolo e camuffabile da un packaging accattivante.

Da quando sono laureato mi occupo part time anche di podologia. Un lavoro pesantissimo. Sia fisicamente che psicologicamente. Si è a contatto diretto con ciò che più di ogni altra cosa è ritenuto sporco: la cacca.
L'essere umano ha ribrezzo della propria cacca fino a cadere in paranoie esistenziali fin dall'età infantile... figuriamoci se si viene a contatto con quella animale.





Ebbene la veterinaria, per eccellenza la podologia, mi ha insegnato che in natura avvengono miracoli sotto i nostri occhi nelle cose che maggiormente pregiudichiamo. E a questi miracoli non solo siamo indifferenti, ma addirittura li mistifichiamo e li disprezziamo in modo vile e codardo.
Il miracolo ovviamente non è sopravvivere in mezzo a tutto quello sporco (che non richiede alcun miracolo)  ma trovare la forza di affrontare tutta la tossicosi psico-fisica dell'uomo moderno alla luce di ciò che si scopre piano piano essere la natura, vivendola.
Se non fosse per aver vissuto la podologia, non avrei mai realizzato cosa è normale e cosa è naturale nella vita (in un centimetro cubo di cacca bovina ci sono migliaia di batteri, virus, parassiti, miceti...eppure sono vivo!)

"Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior". Questa frase poetica geniale di De André la inserii nella mia tesi di omeopatia veterinaria, quasi dieci anni fa, affrontando proprio questi miracoli. A distanza di anni, credo sia arrivato il momento di rispolverare quella tesi, quei concetti, quelle analisi. Perchè fino a pochi anni fa la società non era pronta a parlare di certe cose, a mettere in discussione certi concetti, e guardare con occhi nuovi certi fenomeni.

Oggi, visto che i luminari professionisti e accademici del mondo della sanità fanno incontri con titoli del genere vuol dire che forse è arrivato il momento giusto. Oggi si può parlare di come Ryke Geerd Hamer e Rudolf Steiner concepivano la microbiologia senza esser presi per pazzi e rinchiusi in un manicomio.

Intanto voglio avere conferma di queste percezioni, valutando quello che si dirà tra poco a quel seminario.


domenica 17 gennaio 2016

Quando, come un cane, pregai di morire


Non pregiudicate il titolo di questo post, anche se significa alla lettera esattamente quello che dice. Perchè tenta di esprimere una serie di altre sfumature interpretative che ora spero di riuscire a raccontarvi con quanto sto per scrivere, e che ha lo scopo di tenere insieme esperienze dirette con la malattia, la morte, la medicina (tutta, non solo veterinaria) e il vissuto personale.

Oggi è il 16 gennaio 2016. Terminata da poco la prima settimana dopo l'epifania. Dieci anni fa, nel 2006, mi ritrovai a trascorrere la stessa settimana nel reparto neurologico di un ospedale.
Lo scopo era un aspirato del liquor spinale (per intenderci un prelievo a livello lombare del liquido che circonda il midollo spinale dentro la colonna vertebrale) per confermare o meno la presenza di anticorpi specifici e quindi approfondire una diagnosi di sclerosi multipla.

Va precisato che la sclerosi multipla non è un morbo per cui esiste un esame specifico che la diagnostica, per cui si è positivi o negativi. Si parte dal presupposto di sintomi clinici neurologici (molteplici in base alla parte del sistema nervoso centrale colpito) e poi si fanno una serie di esami collaterali (come i potenziali evocati, elettromiografie, TAC, risonanza magnetica, elettroforesi del liquor spinale...) per avere conferme o meno di deficit della conduzione nervosa.

Encefalo e midollo spinale (Sistema Nervoso Centrale)
La sclerosi multipla infatti è una diminuzione della capacità di trasmettere impulsi nervosi, ma non in tutti i nostri nervi bensì in quelli del tessuto nervoso che noi mammiferi proteggiamo dentro cranio e colonna vertebrale (ossia il cervello e il midollo spinale) e che sono un organo unico per quanto anatomicamente li distinguiamo in varie parti in base alla funzione fisiologica.

Ho avuto la fortuna di soffrire sintomi clinici acuti sospetti di sclerosi solo in un breve frangente della mia vita. Fatalità nei tre mesi forse più stressanti della mia vita. Quando stava per terminare una relazione durata più di quattro anni. Due mesi prima dell'ultimo esame universitario. Superato il quale avrei potuto laurearmi il mese successivo. E questo accadeva tra gennaio e marzo del 2005, un anno prima dell'esame del liquor.
I miei sintomi clinici sono stati qualcosa che ho ricondotto personalmente ad attacchi di emicorea. Questo mi risultò da un'intensa ricerca personale sui motori di ricerca scientifici che allora (era il 2005) usavo con una certa dimestichezza per la mia tesi sulle distrofie muscolari.

E' stato proprio sviluppando la tesi di laurea, tra l'altro, che ho cominciato a nutrire un amore spassionato per l'informazione condivisa (internet). Io sono di una generazione di laureati a cavallo tra quella che batteva tesi a macchina in 12 mesi dopo una ricerca estenuante sui libri, e la generazione che può stilare una tesi in un mese grazie a un universo di informazioni on-line, che azzera spazi e tempi.
C'è voluto poco a capire quale fosse il miracolo autentico dell'invenzione di internet e più che mai per lo sviluppo del sapere medico. Ero convinto persino che una cura per le distrofie muscolari efficace sarebbe stata appurata a ridosso della mia tesi, da quanto si dimostravano in progresso le ricerche su fronti sempre nuovi.
Poi ho capito che le redini della ricerca medica sono in mano come tutto alla finanza, e mi sono disilluso presto. Appurando che un conto è il progresso dell'informazione scientifica, un altro il progresso dell'etica umana. Gli scempi macchinati verso i vari metodi Di Bella o Stamina col senno di poi ne sono chiara dimostrazione. Per cui, purtroppo, all'entusiasmo della rete è susseguito lo sconforto agghiacciante dimostrato dalla vanità umana nel campo scientifico.
Ed ecco il motivo per cui ho coltivato poi negli anni sempre più i lati filosofici e politici della ricerca scientifica. Perchè tecnicamente, come categoria sanitaria,  abbiamo risorse stravolgenti e potentissime. Ma sono sotto il controllo di politiche infami e indecenti. Come ogni altro settore della società giacchè la politica è un braccio della finanza, e non più il contrario (e questo più che mai praticamente dagli omicidi Kennedy in poi).

Ero esageratamente grato al destino di essere caduto in una nuova generazione di studenti universitari. Ma ero anche consapevole che i miei interlocutori con cui mi sarei interfacciato, vuoi sul mio settore, vuoi in un ospedale per una diagnosi medica su di me, erano di tutt'altra generazione.
E infatti tenni per me la mia diagnosi sull' emicorea (basata su evidenze di sintomi patognomonici vissuti in prima persona) senza confidarla ai medici che avevo nel frattempo incontrato da maggio 2005 a gennaio 2006. Anche perchè quando un veterinario tenta di dimostrare qualcosa a un medico umano suonano tamburi di guerra al solo accenno (mentre si sa, quando avviene il contrario siamo rassegnati a dover sopportare diplomaticamente abusi di professione, anche di fronte alle inesattezze fantasiose più inverosimili).
A dire il vero una volta davanti a uno dei tanti neurologi (sapendo filo e per segno quali situazioni me le avessero causate) tentai un: "potrebbero essere emicoree dovute a bla bla bla?". Preferisco tenere per me reazioni e risposte di ritorno. Mi limito a dire che quell'occasione mi incoraggiò oltremodo ad approfondire seriamente il mondo delle medicine alternative su cui ero fino ad allora seriamente scettico.

A maggio 2005 dunque feci le prime TAC e RM che discriminarono alcune diagnosi differenziali. Poi nei mesi successivi altre indagini (giurando a me stesso che non avrei mai più sottoposto i miei occhi e le mie orecchie all'idiozia dei potenziali evocati...se non a fronte di torture più raccapriccianti). Infine a gennaio 2016 il test più delicato. L'esame del liquor.

Ora, l'esame in sè prevede ricovero in day hospital. Salvo complicazioni. E qui si arriva al dunque.
Quali complicazioni può dare questa puntura? Beh, si tratta di entrare con un ago non proprio piccolo di calibro e non proprio corto dentro "la schiena". Fino a sfiorare il midollo spinale. Quello che se viene lesionato, non lo recuperi più, e rimani paralizzato magari a una gamba o deficitario di qualche funzione organica. Questo è l'inconveniente che più si teme per fortuna comunque più unico che raro, pare. Io nel mentre della manovra (che dura una decina di secondi) sentii una forte scossa elettrica sulla schiena che mi fece sudare freddo (e pregare in lingue aliene). Capii che l'ago si era spinto troppo oltre e mi avevano "sfiorato". Per fortuna il professionista fu preparato e pronto, come si spera sempre, a retrarre l'ago il più istantaneamente possibile alla scossa causata.
Fatto è che la puntura finì, e sembrava essere scongiurato ogni pericolo. Sennonchè, cosa poco considerata perchè pare succeda raramente e solo nei soggetti giovani, ci può essere l'effetto collaterale anche di un liquido prelevato in eccesso...o magari troppo velocemente.

Il liquor cefalorachidiano non è proprio un liquido secondario nel nostro corpo. E' un liquido che circonda tutto il nostro sistema nervoso centrale, dalla testa all'osso sacro, e fa da cuscinetto meccanico agli organi vitali che circonda (cervello e midollo spinale) ed è sotto una certa pressione. Questo macroscopicamente. Poi microscopicamente è un mezzo di scambio metabolico tra i vari tessuti, ha caratteristiche biochimiche non proprio banali (non è semplice acqua fisiologica per intenderci) e la sua produzione e assorbimento non sono proprio fenomeni veloci e immediati.
Insomma prelevare questo liquido è uno stress immenso per il nostro sistema nervoso (quindi per tutto il corpo). Se ne esce troppo, o troppo velocemente, tutto il sistema nervoso centrale (e quindi tutto il corpo) reagisce in modo alquanto inconveniente. Molto inconveniente.

Non fu un day hospital, come da programma, il mio. Non uscii il giorno dopo ma la settimana dopo. Una settimana sotto flebo perchè vomitavo tutto quello che ingurgitavo dopo pochi minuti. Solido o liquido che fosse. Una settimana dove l'unica posizione a dare sollievo è quella stesa supini con la testa immobile. Perchè appena sposti la testa, anche ad occhi chiusi, senti il mondo girare in un senso e il corpo in un altro, in totale intorpidimento dei sensi. E senti una costrizione alla gola che viene da un riflesso nato da chissà quale nucleo encefalico stressato dalla poca pressione interna... e che genera quel sintomo, quel sintomo ben preciso. Quel sintomo che impari, in quella situazione, ad affrontare fino all'esaurimento psicofisico più totale. Fino a invocare il cielo di farla finita con quella incomprensibilmente atroce tortura. E preghi, letteralmente preghi, di morire.
Quel sintomo è la sensazione di avere un pugnale lungo e stretto appoggiato sul collo, con la punta che ti tocca la nuca. E appena sposti il collo, in qualsiasi direzione, senti quella lama penetrare. La senti proprio fisicamente. E penetra quel tanto che l'intero cervello (che percepisci in tutta la sua superficie appena sotto la tua calotta cranica) lo senti invaso da uno stimolo doloroso lancinante, acutissimo prima, e poi sempre più subdolo.
Questo è il sintomo che con tutta probabilità, fisiologicamente parlando, è causato dai ventricoli encefalici dopo una caduta di pressione del liquor che li riempie.
Avrò sofferto di mal di testa due volte in vita mia fino ad allora. Delle emicranie sapevo solo la definizione. Non so se si può limitare alla parola emicrania tutto il dolore che sentivo in quella situazione. Di sicuro non era solo un'emicrania quel riflesso doloroso che mi paralizzava l'intero corpo costringendolo all'immobilità, nel mentre che avvertivo la sensazione (sempre per via riflessa) di un oggetto contundente strozzarmi la gola fino ad indurmi il vomito.

Ebbene, quella situazione è durata per una settimana. Giorno e notte. Ricordo che in una settimana solo una notte ho dormito sei-sette ore di fila. Dopodiché fu tutta una lunga immobilità, svegliata da quel dolore e quei conati di vomito, non appena fisicamente crollavo con lo sforzo di costringermi volontariamente immobile, al fine di non percepire quel pugnale alla nuca. Costantemente lì. Per giorni interi. Quando ad occhi chiusi il dì diventa uguale alla notte.
I medici dicevano che era una situazione rara la mia. Che era questione di uno due giorni e avrei recuperato. Non so se minimizzarono per protocollo o per negligenza. Non lo voglio sapere. Non mi interessa. Però ci tengo a confidare che mi demoralizzò oltremodo facendomi andare in completa disgrazia quel minimo di fiducia che avevo nella classe medica, il fatto che dopo una puntura di tiocolcoside (oggi poco raccomandato per la tossicità) feci riferire a uno dei medici di turno che qualche ora dopo l'iniezione avevo sentito uscire del fuoco al posto di urina: non mi pareva una cosa normale... oltre a tutto il resto. Ebbero l'idea geniale di prelevarmi del sangue per testare se avessi fatto assunzione di qualche stupefacente. Ero lì per una sclerosi multipla, ero lì per una rachicentesi, ero ridotto a uno zombie, avevo pelle e deiezioni che sapevano da putrefazione dopo tre giorni che vomitavo e basta...e secondo loro quella mia condizione suggeriva che forse... avevo assunto droghe?!? Ecco questa fu un'umiliazione incommensurabile. Psicologicamente parlando. Perchè fisicamente ero già l'ombra di me stesso. Da sempre sono abituato agli sguardi sospettosi degli estranei quando mi incrociano e mi vedono con le occhiaie causate dall'anemia ferro priva che mi accompagna da quando avevo sei mesi di vita, marcate magari da arretrati di sonno dovuti allo studio, al lavoro, o a un hobby. Ma un medico... dovrebbe forse guardarti come un estraneo?
Non mi dilungo infine sul fatto che ritengo droghe anche il caffè e il tabacco...allora lo ammetto sì, evidentemente a volte mi drogo.

Ora non so se fu la notte del terzo o quarto giorno in quelle condizioni. Le mie preghiere che quella situazione definita provvisoria cessasse si trasformarono in invocazioni di morte. Letteralmente. E pregavo proprio come se Dio fosse il mio boia in carne ed ossa steso a fianco a me.
Lo percepivo lì a reggere il pugnale dietro il mio collo. E lo pregavo di spingerlo fino in fondo una volta per tutte.
Ma il "male di esistere" che mi fece invocare la morte come un cane, indegno di sentirmi un essere umano, era un ultimo desiderio. Il perdono, di esser lì ad invocare la morte, pur avendo l'esempio quotidiano di santi ed eroi come i miei nipoti, che allora avevano sei e dieci anni, e che stavano da anni sopportando una distrofia muscolare, allora già atrocemente conclamata clinicamente. Volevo morire, perché psicofisicamente non riuscivo più a sopportare quel dolore, e mi sentivo spiritualmente indegno di essere zio dei miei nipoti.

Questa situazione è durata per una settimana. Giorno e notte. Ed è andata via via affievolendosi dal quarto giorno in poi. Ma non è sparita in sei giorni. Mi hanno congedato, mi parve di intuire, perché era diventato un quadro clinico imbarazzante il mio. Succede spesso in medicina quando ci sono reazioni anomale ad indagini di routine. Per non far sospettare che ci siano responsabilità sui fatti imprevisti, si tratta il caso come se non ci fossero anomalie, e si congeda.
Dopo sei giorni io ero in grado di camminare per una decina di minuti, come un bradipo, e sempre dritto, cambiando direzione a scatti con tutto il corpo, a rallentatore, come un robot. Feci il viaggio di ritorno sul sedile completamente steso. Mi sentivo un alieno su un astronave.

Tornai in grado di guidare da solo dopo un mese circa dal congedo. Ricordo che fu proprio quella mia compagna con cui si era conclusa la lunga relazione un anno prima, e che mi dette in parte anche coraggiosa assistenza in quella "settimana all'inferno", ad accompagnarmi alle prime lezioni di balli caraibici che avevamo deciso di iniziare insieme. Era il 30 o il 31 gennaio 2006. E io ancora a metà febbraio alle lezioni mi fermavo durante gli esercizi di vuelta (piroette) perchè perdevo l'equilibrio e mi saliva nausea. Quanti ricordi. Il ballo latino fu la prima cosa che mi proposi di fare appena uscito dall'ospedale, tra le altre, prima di ritrovarmi "con maggiori probabilità rispetto a una persona normale" in carrozzina, o paralizzato, come mi avevano indicato i medici parlandomi della mia malattia. Quel tipo di balli mi affascinarono fin da quando, a nove anni, rimasi stregato dalla Lambada. E la ragazzina di quel video era nelle mie fantasie la bambina un anno più giovane di me che mi stregò alle scuole elementari, e che contemplavo come una principessa inarrivabile.
Fatalità, ci mise più di dieci anni ad arrivare infatti l'occasione in cui la rincontrai, a vent'anni, e iniziò quella relazione destinata a finire nel mentre mi sentii addosso la sclerosi multipla.



Termino così questa storia del mio vissuto. Potrei aprire mille parentesi da approfondire per mille altri post che riguardano la mia vita di relazione, la mia vita lavorativa, la mia vita spirituale, e quante altre vite? Tante vite ho vissuto in questa mia esistenza ormai giunta ad un giro di boa, se 35 anni sono ancora considerati quel bel mezzo del cammin. Molte esperienze mi hanno segnato. Ma posso dire che la Signora Nera che chiamiamo morte ha fatto un po' da guida lungo il tragitto. Ora vedendola in un cucciolo avvelenato da bambino, ora vedendola sul volto morto dei miei nonni poco più che ventenne, ora desiderandola che mi prendesse per mano su un letto di ospedale.

Che sfiga dunque? Niente affatto. Questa Signora, mi ha insegnato tutto. Persino a fare il veterinario. Persino a "ridefinire" la sclerosi multipla. Son dieci anni che attendo di scrivere queste cose. Mi sono imposto di mettermici solo quando sarebbero passati dieci anni, ossia il limite temporale entro il quale, in genere, possono ricomparire sintomi di una forma silente di sclerosi multipla. Dopodiché, pare, dovrebbe rimanere silente per il resto della vita.

Allora concludo con questa precisazione, che è lo scopo di questo post, questo post che sarà il testimone per tanti altri che dovrò scrivere, finalmente, sulle confidenze della mia malattia, della mia cura, della mia guarigione, se così si può definire (da omeopata, tutto è da ridefinire, anche malattia e guarigione).
Dopo quella diagnosi di sclerosi multipla, esegui solo controlli diagnostici di routine per monitorarne il decorso. Quindi molte risonanze, qualche esame del sangue, qualche test di apprendimento. Ma scelsi di non entrare in alcun protocollo sperimentale per nuovi farmaci, nè di usare terapie classiche (cortisone e interferone) per arginare i piccoli disturbi nel frattempo intercorsi (come ad esempio un formicolio alla mano destra che mi accompagnò altalenante per quasi tutto il 2005). Non ho preso alcun farmaco. Ma vi dirò di più. Dal 2008, anno in cui mi diplomai alla scuola di omeopatia, ho preso un solo antinfiammatorio di mia volontà, nel 2012, per un'infiammazione iperacuta in una zona scomoda da sopportare. Poi nulla più. Ho assunto antibiotici in occasioni che si contano su una mano, in concomitanza di piccoli interventi chirurgici superficiali. Non ho mai assunto farmaci in occasione di sindromi influenzali (le ho sempre curate con un paio di giorni di riposo assoluto costringendomi a letto). Non ho mai neppure assunto antidolorifici. Ho sempre voluto sopportare il dolore, finchè sopportabile. Neppure dopo un'operazione chirurgica ortopedica alla mano a fine 2014  (frattura articolare pluriframmentaria di un metacarpo ridotta con due viti e un mese di tutore) ho assunto farmaci extra a quelli indotti per l'intervento.
Miracoli dell'omeopatia? In parte, a volte, in alcune occasioni. Per la mia sclerosi multipla, ad esempio, mi illuminarono all'inverosimile le teorie del dottor Hamer. Nessun farmaco, semplicemente un libro. Scoperto per pura casualità.

Io non lo so se un giorno la mia sclerosi multipla ricomparirà impietosa. Così come non so cosa potrà succedermi per qualsiasi altra banale disgrazia già assegnatami dal destino. So solo che oggi mi separano dieci anni da quella settimana, e che la vita, con la sua Signora, mi ha insegnato molte cose.
E oggi la ringrazio, perchè posso permettermi di condividerle dicendo non "questo è quello che mi è successo in una occasione", bensì "questo è quello che ho vissuto per dieci anni".

Ed è un'emozione condividerle, ovviamente, ancora più grande di averle vissute.