mercoledì 27 aprile 2016

Veterinario "per" mio nonno

27 aprile 2016

Cento anni fa, il 27 aprile del 1916, nasceva mio nonno. Cosa può centrare mio nonno con VeterinariaMente? Beh lui con la sua pensione ha contribuito tantissimo alla mia laurea. E a valutare tutto il contributo umano che lui (a fianco di mia nonna) ha rappresentato per la mia crescita come persona, vi assicuro che è un orgoglio immenso dirmi "è anche grazie alla sua pensione che mi sono laureato".

Mi stimola una marea di riflessioni pensare che viviamo in un momento storico in cui le pensioni dei nonni non servono più a pagare l'università ai nipoti, ma a comprare loro beni di prima di necessità. Per non dire che oggi i corsi universitari sono tutt'altro che una garanzia lavorativa. Quando ho frequentato l'università io (1999-2005) già c'era il sentore che quell'investimento fosse una farsa illusoria a fronte della richiesta del mercato del lavoro (e parlo un pò di tutti i settori delle libere professioni).
Ad ogni modo non è una percezione, ma un dato di fatto, constatare che a distanza di dieci anni il sistema università-mondo del lavoro e il sistema reddito-contribuzione-pensioni hanno tutte le caratteristiche di una perfetta macchina finalizzata alla speculazione finanziaria (i contributi minimi negli ultimi cinque anni sono cresciuti del 30%, tralascio le variazione in proporzione dell'età pensionabile e delle pensioni stesse, per non parlare del patrimonio mobile e immobile dei vari enti coinvolti). Questo dato di fatto lascia molto amaro in bocca.

E pensare che mio nonno era al settimo cielo quando mi sono laureato. Lui, nato nel bel mezzo di una guerra mondiale, fortunato di aver appreso a leggere e scrivere pur dovendo accudire altri quattro fratellini insieme alla madre, esaurita psicofisicamente dopo esser stata abbandonata dal marito. Figuriamoci per mio nonno vedere l'unico nipote laureato.

Ma vi faccio una confessione (che approfondirò in altri post): tra il terzo e il quarto anno, pur essendo bene o male in ordine con gli esami, ero davvero convinto di abbandonare tutto. Aldilà della farsa illusoria sulle prospettive di lavoro abbastanza facilmente prevedibile (bastava confrontarsi con qualche realtà ambulatoriale per comprenderlo) quello che ritenni un po' più preoccupante era prendere consapevolezza che si stava dipanando un'altra farsa, ben più agghiacciante.

Detto in modo estremamente sintetico e generalizzato, intendo cioè la farsa del business sulla salute/malattia degli animali da affezione. Quella che spazia dalla speculazione sulla selezione genetica delle razze, alla speculazione sugli accanimenti diagnostici e terapeutici. Notando, cosa ancora più triste, che questo era uno scimmiottamento in medicina veterinaria della medicina umana. Ma non è finita qui. Cresciuto in una famiglia di produttori/commercianti di generi alimentari di origine animale, perfino il sacro (per me) mondo della sanità pubblica (incaricata del controllo igienico-sanitario degli alimenti) mi stava apparendo per molti aspetti un enorme cantiere di sofisticazioni burocratiche con finalità sempre più lontane dal loro senso di esistere: la salvaguardia della salute pubblica.

Mio nonno mi raccontava di aver iniziato a vendere i limoni da fanciullo. "Cinque limoni una lira" era l'aneddoto che riportava, facendo notare come tutto col tempo fosse cambiato sul valore delle merci....e del denaro. Poi la guerra. Al fronte sui Balcani. Le fughe dopo l'armistizio. Una pallottola alla bolla timpanica di sinistra che lo rese quasi sordo per il resto della vita. Infortunio che mi feci raccontare nei minimi dettagli tante volte. Avrei voluto sapere molte cose di ciò che aveva vissuto, ma io ero troppo giovane per certi racconti o forse certe cose non me le avrebbe dette mai a prescindere, da quanto erano sofferenti prima di tutto per lui che lacrimava solo a pensarle, con lo sguardo immobile.
Ricordo però che un giorno pianse non per ore ma per giorni, quando una telefonata lo avvisò che era venuto a mancare "un suo migliore amico". E in quei giorni mi raccontò di quando in guerra stringendo la mano di un altro amico moribondo, gli straziò il cuore l'ultimo desiderio espresso in un'unica frase "...digli a mia madre che le voglio bene! digli a mia madre che le voglio bene!".

Mio nonno che partì con i limoni prima della guerra, dopo la guerra insieme a mia nonna (e due figli) un pò alla volta riusci a diventare un commerciante di generi alimentari di tutto rispetto. E non a caso mio nonno fu anche un ciclista di tutto rispetto fino agli ultimi anni della sua vita: trasportava da giovane partite di pesce in bicicletta, su e giù per i Colli Berici o Euganei. Finì la sua carriera di lavoratore a quasi ottant'anni quando ormai era mezzo cieco, quasi del tutto sordo, e a malapena si reggeva in piedi (dopo l'ennesimo incidente in bicicletta). Ma il suo impero era a casa. Perché in qualche decennio lui era riuscito, come tutti gli italiani dopo la guerra lasciati liberi di costruire, a trasformare la sua bicicletta in celle frigo, magazzini e automarket.

Tuttavia questa magia non so se gli sarebbe stata possibile se ai suoi tempi la regolamentazione sanitaria e fiscale fosse stata così complicata come quella che stavo studiando all'università.

Ora però non voglio essere frainteso. Non voglio assolutamente puntare il dito in modo qualunquista su un settore importante della sanità posto a garanzia della salute e del benessere collettivo. Solo mi sento di affermare, in scienza e coscienza sulla base del mio percorso formativo e del mio back-ground famigliare, che la società si è talmente sofisticata sugli stili di vita, compresa la nutrizione e l'alimentazione, che il controllo di produzione, uso e consumo degli alimenti sono divenute lentamente discipline plasmate su misura dei grossi circuiti di produzione, distribuzione e consumo, di fronte alle quali la piccola impresa o il piccolo produttore/distributore, si sono trovati inadatti, penalizzati e infine schiacciati.

Non ero sereno affatto da studente a rendermi conto di queste cose. Cioè praticamente la mia professione, se mai avessi scelto la strada della sanità pubblica (ossia l'unica rimasta con stipendio decoroso garantito a fronte di tanto studio e responsabilità) sarebbe stata un ingranaggio anonimo di quel gigantesco palcoscenico a servizio, per via diretta o indiretta, delle multinazionali? quelle che un po' alla volta stavano per disintegrare quelle stesse realtà che avevano permesso di farmi crescere, e studiare? Ecco, questo bastava a mandarmi in tilt. Se poi aggiungevo la frustrazione che sentivo a dover imparare metodi di gestione del paziente in cui non si capiva più se era più umano l'animale o il proprietario (vedi la differenza di trattamento tra un animale da reddito - praticamente un numero- o un animale da affezione -praticamente una parte del corpo del proprietario-) andavo di matto. Almeno poi nel mio percorso di studi fosse stato previsto un approfondimento in materia di etica scientifica o etica professionale... neppure quello.

Come se non bastasse, verso il terzo-quarto anno accademico, a queste angosce si sommava la profonda pena che emergeva dallo studio della patologia generale, dell'anatomia patologica, della patogenesi cellulare. Realizzavo quindi che per quanto fossero sempre più dettagliate le scoperte in ambito di malattie genetiche (ossia le distrofie muscolari dei miei nipoti) poco lasciavano intendere che ci fosse da parte del mondo accademico-sperimentale un serio e vero impegno a conseguire una cura pratica di quelle malattie, nonostante nei rotocalchi già a fine anni novanta comparivano articoli scoop sui miracoli delle staminali. Di nuovo allora, anche qui, percepivo sempre più l'ombra di una ennesima farsa. Quello di un mondo della ricerca scientifica diretta più alla referenzialità blasonata fine a se stessa che alla missione disinteressata di curare per far guarire. Di nuovo insomma il business finanziario prima e sopra tutto, a dirigere il traffico di fondi, sotto molteplici forme, dal farmaco alla protesi, dagli organi alle pubblicazioni scientifiche.
La pena dunque, sotto ogni punto di vista, da quello psichico a quello fisico, da quello intellettuale a quello spirituale, fu rendersi conto che in fondo in fondo, in ambiente medico preservare la salute non crea lo stesso business del mantenere la malattia. E la prima strategia emergeva sulla seconda ovviamente perché tutto il sistema socio-politico era fondato sulla prima.

Giuro, avrei mollato tutto prima di iniziare lo studio delle cliniche e della terapeutica del quarto-quinto anno. Tanto sarebbe stato solo approfondire (temevo) un'ulteriore farsa.
Ma come potevo dare un dispiacere del genere a casa? Come potevo sputare sopra la pensione di mio nonno, con tutto il sacrificio che essa rappresentava? Come potevo non portare a termine una gratificazione grande come una laurea alla mia famiglia, in primis a mio nonno (tra l'altro straziato dall'improvvisa scomparsa di mia nonna) dopo tutto quello che avevano investito su di me e dopo i risultati dei prime tre anni?

Insomma, è grazie a mio nonno che mi sono laureato. Per tanti aspetti. Mi sono laureato grazie a lui, ma anche "per" lui in senso vero e proprio (non nel senso proprio però dato da mia nonna che si divertiva sempre incoraggiandomi a laurearmi in fretta "così poi curi quell'asino di tuo nonno!").

Tuttavia non avrei sopportato tante "farse" esclusivamente in nome dell'amore e il rispetto per la mia famiglia e mio nonno in particolare. Lo posso dire con certezza: non avrei retto. A darmi un enorme supporto morale e intellettuale che mi permise di guardare avanti con la speranza che la medicina potesse essere anche altro, e così la clinica e la terapia, nonché la sacra sanità pubblica, fu un professore che col senno di poi posso ritenere un angelo mandato dal cielo. Un professore incaricato di una cattedra affascinante per me all'ennesima potenza, per quanto mi suonasse ostica per tanti pregiudizi personali (la legislazione veterinaria).

Questo professore era più o meno coetaneo di mio nonno. Anche lui reduce di guerra. Anche lui con uno sguardo profondo e un carattere tanto forte quanto sensibile. Questo professore mi illuminò involontariamente su una strada che si aprì proprio negli ultimi anni di università nel mentre cercavo di comprendere l'evoluzione-involuzione della medicina tradizionale, e quella strada dopo la laurea mi avrebbe condotto a prendere consapevolezza di dinamiche e meccanismi straordinari in merito ai processi patologici e di guarigione interpretati dalle medicine alternative, esattamente sulla scia perduta di una determinata medicina tradizionale "evolutiva", di cui quel professore fu uno degli ultimi testimoni viventi del secolo scorso.

Mio nonno mancò pochi mesi dopo la mia laurea. Ringraziai il cielo di non avermelo portato via prima per quanto avesse sofferto nei suoi ultimi mesi. Mentre non molto dopo venni a sapere che se n'era andato anche quel mio professore quando tentai di ricontattarlo. E ancora soffro del fatto che il cielo "quest'altro nonno" davvero me lo portò via invece troppo presto.

Ad ogni modo, il centenario della nascita di mio nonno cade nell'anno di un'altra nascita. Il prossimo giugno è programmata la nascita di mia figlia. E io per la vita non sono che un ponte tra mio nonno e lei.
Nasce anche lei, come lui, nel bel mezzo di una guerra di cui però non siamo consapevoli da quanto ormai è camuffata dalle varie farse sul lavoro e sulla salute. Anche lei dovrà convivere con una dittatura, anche se molto più subdola e sofisticata di quella di cento anni fa, perché poggia sull'arma denaro.
Si chiamerà Anna Lucia mia figlia, come ha proposto la mamma sentendoselo suggerire da qualche voce nell'aria poco prima che si sapesse della gravidanza. Anna Lucia significa "grazia", significa "luce". Davvero spero sia forte come il suo bisnonno. Chissà che insieme continuino a gettare grazia e luce a questa umanità bisognosa oltremodo di aprire gli occhi.

A proposito, mio nonno si chiamava come me. Buon centenario nonno Toni!

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