lunedì 24 agosto 2015

Contenzione del cane "problematico"

Una delle più grandi soddisfazioni che personalmente nel mestiere del veterinario, è ogniqualvolta riesco a fare un'anestesia ad un cane dal temperamento difficile.
Vi è sempre in gioco un enorme responsabilità. Nei confronti dell'animale, dei proprietari, e di sè stessi. Perchè il rischio di gravi incidenti per tutti e tre questi protagonisti è davvero alto anche per un solo minimo dettaglio trascurato nelle manovre.


In dieci anni di attività e cinque di conduzione ambulatoriale in proprio, un paio di volte me la sono vista davvero brutta. In una di queste a momenti non mi faccio sbranare da un pastore belga in procinto di essere visitato nel suo giardino. Parve non gradire che dopo la terza-quarta volta che mi riportava la pallina per giocare, non gliel'avessi rilanciata ancora, mettendomi a sistemare lo strumentario per la visita. Mollò la pallina dalla bocca e mi azzannò dapprima il marsupio che portavo dietro una spalla, lacerandolo, e quindi tentò un morso su una natica (che prese di striscio non riuscendo a fare presa grazie alla tuta scivolosa).

In quei frangenti alzai le braccia al cielo, tese, e rimasi immobile. Fissando il cielo. Mi sentivo un proto-cristiano in procinto di essere sbranato dalle fiere nell'arena del Colosseo. Con la coda dell'occhio dopo qualche secondo osservai il presunto carnefice. Lo vidi scodinzolare. Un buon motivo per tornare a deglutire. Ma mi fissava a bocca aperta un braccio, con l'aria "adesso appena lo abbassa gli azzanno quello! vediamo se gli torna la voglia di riprendermi la pallina!". 
Praticamente mi stava risparmiando... perchè aveva da esprimere un ultimo desiderio (lui!). Per fortuna intervenne il proprietario dopo una decina di secondi (mi parvero ore!) con la scopa. Lui azzannò quella...e non proprio per gioco come prima.
Bene. Quello fu l'indizio che mi fece capire che nell'educazione di quel cane qualcosa era stata impostato sbagliato. Tralascio il resto. Questo era solo un esempio per dire che con gli animali, credo tutti (dal bruco, all'essere umano) non esistono maniere buone o cattive che funzionano. Ma un buono o cattivo uso di buone e cattive maniere. Servono entrambe. E lo si può facilmente dimostrare. Ma occorre sapienza (intelligenza emotiva?) nel saperle usare come, quando e quanto serve. Usare le cattive maniere nel momento sbagliato fa danni quanto usare le buone se il caso non lo prevede. Esistono quindi le maniere giuste e quelle sbagliate. E capire quali siano le une e le altre, è solo ed esclusivamente questione di buon senso. A prescindere da lauree, trattati e manuali.

Usare le cattive nella pratica veterinaria non significa maltrattarli, ma adottare strategie per neutralizzare le loro reazioni indesiderate, inducendo per forza di cose qualche stress ma senza traumatizzarli. Cosa questa davvero delicata. Perchè "la psiche" di un animale è fragile quanto quella di un bimbo nella prima infanzia (non si parla di evoluzione, ma di fragilità).

Non è mai scontato riuscirci con successo. Ma si può sempre ad ogni modo tentare di farlo. Occorre inevitabilmente la collaborazione del proprietario, senza la quale a mio avviso ogni tentativo è da lasciar perdere.
Ecco alcune strategie che ho adottato negli anni per i casi più critici. Non sono una garanzia per tutti, ovviamente, ma se non altro possono essere un punto di riferimento per non arrendersi in partenza.