14 settembre 2018
Mi imbatto in rete in questo titolo di una nota testata giornalistica:
I veterinari svelano cosa fanno gli animali negli ultimi istanti di vita (e qual è l'errore che i padroni commettono sempre)
Le testimonianze raccolte dal Daily Mail: "Non lasciateli soli, passeranno il tempo a cercare il volto della persona che amano prima di spegnersi"
Apro il link, ovviamente aspettandomi il peggio, e puntualmente leggo:
"Ho chiesto al mio veterinario quale reputa essere la parte più dura del suo lavoro e mi ha risposto che è quando deve praticare l'eutanasia, ma i padroni nel 90% dei casi decidono di non assistere. Gli ultimi momenti degli animali in questo caso consistono nel guardarsi intorno cercando il proprio padrone e questo mi uccide".

Forse sono questi sintomi preagonici di un modello editoriale esso stesso sul punto di morte. Ma cos'è questo se non lo specchio di una società essa stessa morta dentro, sia dal punto di vista di professioni sanitarie (veterinaria compresa) che tentano di affermarsi sfruttando sentimentalismi fasulli, sia dal punto di vista dei lettori che, ignari e ingenui, si lasciano manipolare a prescindere davanti a qualsiasi forma di sentimentalismo?
Ma se è vero anche che la speranza è l'ultima a morire, e l'ultima speranza è che ogni morte apra le porte a un nuovo inizio migliore, allora speriamo che la morte di questo sistema editoriale, riflesso di un sistema professionale e sociale, apra le porte a un nuovo modo di intendere l'informazione, di intendere la formazione, e di intendere la condivisione dei loro valori.